Homecoming

Homecoming

29 Marzo 2017 0 Di Palagiano.net

“Disclaimer: Nessuno è normale è una rubrica semi satirica di sperimentazione linguistica, neologismi accapocchia, situazionismo, riflessioni sulla vita, l’amore, la musica di merda, la chimica ricreativa e Dio. Non necessariamente in quest’ordine. Non necessariamente secondo parametri giudizievoli. Non necessariamente sincera”

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Homecoming
Avete presenti quei giorni in cui ti svegli ed è come se avessi mischiato MDMA e calci in culo per tutta la notte? Tipo quando sei abbastanza giovane e sufficientemente poco sobrio da attaccare un pippone al disco pub ad una studentessa in erasmus parlando di sociopolitica dei flussi migratori comparata ai benefici del sesso orale interculturale per accorgerti solo alla seconda commozione cerebrale che si trattava della ragazza del buttafuori senegalese?

Domanda del cazzo. Lo so che non lo sapete. Praticamente non sapete quasi niente. Certe volte è come parlare con la parte asportata del lobo frontale di un paziente psichiatrico fresco di leucotomiaNon che io abbia dimestichezza con le pratiche invasive di correzione comportamentale, né con le sostanze psicoattive derivate dalla feniletilamina, né con il dialogo in generale.
Né con voi se è per questo.

Ma non divaghiamo.

Mi spiego: è una sensazione tipo essere paralizzati a letto e chiedersi dove ci si trova per una buona quindicina di minuti, con il terrore di muoversi perché il cane ti sta leccando la mano ed hai paura che ti possa mordere, anche perché tu un cane non ce l’hai e magari quello è il rottweiler della tizia di scienze della comunicazione semi-tossica con cui ci provi da un anno e la possibilità di essere a casa sua non è del tutto peregrina. Ed anche quando ti rendi conto che il tizio con la lingua sulla tua falange indicea è il vicino di casa spagnolo (in erasmus) che si sta laureando in chimica e passa metà del tempo a sperimentare su se stesso che Marie Curie je spiccia casa hai comunque paura di rimetterci un dito o due.
Quindi passano un buoni tre quarti d’ora prima di razionalizzare che sei nella tua stanza, a casa tua, probabilmente vivo per miracolo e con ancora tutti i denti in bocca.

Casa tua. Amarla dovrebbe essere facile.

Casa mia non era come la ricordavo, ero andato via che credevo di stare dieci anni nel passato rispetto al resto del mondo e mi sono ritrovato, dieci anni dopo, che il salto nel passato era di venti. E materia da science fiction dura, roba che Dick ci avrebbe sguazzato, non so se ve ne rendete completamente conto.

Trovare una connessione decente era roba da alta borghesia.
Trovare un libro, sì ciao.
Trovare pace? Comprati un suv con i vetri oscurati e chiuditici dentro ascoltando Radio Capital negli orari giusti, al massimo.

Certo ho ricominciato a mangiare due volte al giorno seguendo una dieta che non fosse composta all’80% da arachidi e Tennent’s super e ora mi ricordo abbastanza bene cosa faccio ogni sera tranne quando trovo un videogioco in offerta su Steam. I vantaggi ci sono stati.
Anche se ammetto che il calo di serotonina drastico causato da questo cambio di abitudini mi ha provocato una lieve sindrome da scompenso dell’umore.
Una volta ho pianto perché avevo dimenticato le cuffie bluetooth a casa dopo essere arrivato in palestra.
Una volta ho pianto entrando in palestra semplicemente perché ero lì.
Ancora non ho capito cosa cazzo ci vado a fare in palestra.
A parte piangere, dico.


Amare qui non è facile, piangere un po’ di più.
Ma sto divagando di nuovo.

Ho vissuto in uno scenario culturalmente ed eticamente protetto per troppo tempo mentre qua c’è gente che si lamenta dell’analfabetismo sbagliando i congiuntivi, evasori fiscali totali presi a criticare il sistema tributario locale, politici corrotti come Nazgûl che parlano di umiltà ed etica con il candore di una versione discount di Martin Luther King, psicopatici che adorano i cani e donne che chiamano zoccole altre donne per motivi che quelle rare volte in cui riesco a capirli vengono rimossi nel giro di dieci minuti, probabilmente per una specie di failsafe cerebrale che dovrei aver sviluppato leggendo Eve Ensler nel secolo scorso (vado a memoria, dicevo che quella è tornata a funzionare come si deve, credo).
Qualche tempo fa, quando ero affascinato dalla ricerca sul Male perché davvero (DAVVERO) non riuscivo a spiegarmi come facesse la specie umana ad essere talmente intra-distruttiva, avrei letteralmente pagato per trovarmi in questo cluster sociale di sociopatia schizoide che neanche un film di David Linch al protossido di azoto. Antropologicamente sarebbe stato oro puro se avessi avuto ancora le forze della post adolescenza e quella forma peculiare di malattia mentale chiamata entusiasmo.
Adesso è più difficile, il fiato è più corto, la pazienza peggio.
Resta solo l’amore.
Per certi odori, certi colori, certi modi strani che hanno qui i raggi del sole di filtrare dalle tapparelle riflettendosi sul pulviscolo.
Sono tutti allergeni, ti fanno maledire con grande creatività blasfema ogni granello di polline.

Amare non è mai facile qui. Mai.
Ad un certo punto ho pensato di aver fatto una gran cazzata, lo ammetto. L’eco delle nottate di foschia è ancora forte anche quando sei ormai troppo vecchio per morire giovane.
Poi mi sono ricordato che amare non è facile a prescindere, in nessun luogo, e quando esageri in genere finisce male comunque.
Tanto vale, quindi, provare a farlo dove è visto quasi come un crimine.
Alla fine è un modo come un altro per ribellarsi.

E ci sono forme di ribellione peggiori rispetto a questa, fidatevi.

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