Il “problema” Adinolfi

Il “problema” Adinolfi

3 Maggio 2014 1 Di Life

Devo essere sincero, non sono rimasto del tutto insensibile ad alcune delle questioni poste dal commentatore, rimasto anonimo, che scriveva:

Questa scelta anti-costituzionale di far partire una maratona omofoba e denigratoria da Palagiano non appartiene ad un cittadino come me, e il fatto che cani e porci ora come ora possano organizzare talk-show imbarazzanti, nel teatro comunale, e dire no a cose per le quali non esiste dibattito sulla tolleranza, ma solo la tolleranza stessa, mi rende schifato e avvilito e privato di ogni speranza culturale…”

L’anonimo commentatore, infatti, sfiora temi che andrebbero affrontati, e sarebbero già stati affrontati se non fossimo in Italia e in un Occidente oramai rassegnati all’idea che occorre essere “progressisti”. Cosa vorrà dire mai tale aggettivazione nessuno, se interrogato, saprebbe forse rispondere, ma intanto prevale l’idea che i “valori” del progressismo sono parte di noi stessi e della nostra “civiltà”.

Non potevo restare insensibile considerato che, paradossalmente, i temi sfiorati dal commentatore sono in qualche modo gli stessi che Adinolfi dice di voler sollevare per poi offrirli, rinnovati nell’argomentazione, alla sinistra. La stessa sinistra della quale quasi certamente direbbe di essere un sostenitore convinto anche il nostro commentatore.

Ecco dunque il paradosso: ci si può dire di sinistra e “progressisti”, in due, e nello stesso tempo apparire in totale disaccordo. Come può essere possibile mai? La risposta va cercata affrontando appunto le questioni di fondo che troppo frettolosamente accettiamo come scontate e perfino come chiare a tutti. Anche se, come vedremo, di chiaro hanno ben poco.

Come individuarle queste questioni che ho chiamato “di fondo”? Lasciamoci pure guidare dal commento.

Viene dunque sostenuto che Palagiano sarebbe la prima tappa di “una maratona omofoba e denigratoria”. Sul profilo di presunta incostituzionalità, che a detta del commentatore vizierebbe anche normativamente detta “maratona”, dirò in seguito.

Sottoponiamo quindi a osservazione i due termini “omofobia” e “denigrazione”.

Il primo, “omofobia”, sta ad indicare una paura irrazionale nei confronti degli omosessuali. È un po’ come la paura dalla quale vengono assaliti alcuni imbattendosi in un ragno o in un topo. Nessuna spiegazione razionale potrà mai vincere la paura che provano, bisognerà rassegnarsi a tollerare le loro istintive reazioni. Questo per far notare che a nessuno, finora, è venuto in mente di rendere penalmente perseguibile l’avversione da alcuni mostrata nei confronti di ragni o ratti.

Il secondo termine, “denigrazione”, etimologicamente starebbe a significare “rendere nero”; vale a dire, offuscare i meriti di qualcuno o di qualcosa. Ora, e seguitemi bene nel ragionamento, poiché ritengo che essere omosessuali non costituisca titolo di merito – contrariamente a molta sinistra, che invece dice di scorgere una non meglio precisata “ricchezza” nell’omosessualità –, ritengo invece che sarebbe da considerare meritorio qualunque intervento teso a precisare che gli omosessuali non sono portatori di particolari meriti. Un omosessuale può essere portatore di meriti come di demeriti, ma questo ha a che fare col suo essere un essere umano e non con la sua omosessualità. Laddove qualcuno si dicesse convinto del contrario, la miglior cosa da fare sarebbe di lasciarlo libero di crederlo. Sarebbero poi i risultati delle sue scelte a convincerlo di essere in errore. Si veda, ad esempio, la storia di Alan Turing.

Durante il secondo conflitto se ne accorsero, a loro spese, i tedeschi. Con le loro fissazioni (sbagliate) su ebrei e omosessuali si privarono di alcune delle migliori menti in campo scientifico. I paesi anglosassoni si avvalsero invece della loro intelligenza senza stare a sottilizzare. Risultato: ebbero l’atomica grazie soprattutto agli scienziati ebrei e la macchina “Enigma”, capace di decifrare le comunicazioni dei tedeschi e di rendere possibile la localizzazione dei loro sottomarini, grazie al genio matematico di un omosessuale come Turing.

Alla luce di quanto appreso finora e considerando, benevolmente, l’espressione “cani e porci” una sorta di eufemismo indicante coloro che il commentatore ravvisa come propri avversari politici – sì, politici. Perché come infine vedremo sono politica e democrazia i temi finora definiti “di fondo” –, giungiamo finalmente al concetto sicuramente più significativo tra i vari contenuti nel commento: “non esiste dibattito sulla tolleranza, ma solo la tolleranza stessa”. Che tradotto dovrebbe significare: “la tolleranza [nei confronti degli omosessuali] non può costituire oggetto di discussione, deve esserci e basta!”

Detto così, il concetto appare tollerabile da chiunque, e chiunque vi si opponga, anche solo provando a imbastire una discussione intorno ad esso, è da considerare un pericoloso nemico: nemico della democrazia e nemico della buona politica. Nemico delle costituzioni che prevedono l’impossibilità della ricostituzione dei partiti fascisti in alcuni paesi, ma al tempo stesso contemplano la possibilità che se ne diano di comunisti. [Come se a fare la differenza tra due totalitarismi bastasse davvero l’aver fatto parte di uno schieramento (da un certo momento in poi. Ché non bisogna dimenticarsi del “patto” siglato da Ribbentrop e Molotov per i rispettivi paesi, Germania nazista e Russia sovietica, e durato fino a quando Hitler non decise di invadere la seconda) invece che di quello opposto.] Nemico di costituzioni inneggianti alla tolleranza, ma prevedenti al loro interno la possibilità di dover essere intolleranti nei confronti di quanti non vogliono essere tolleranti.

Paradossi pratici a parte, però, il vero problema delle costituzioni democratiche è un altro: quando la tolleranza si trasforma in dovere imposto secondo legge, anche l’individuo più tollerante di questo mondo è costretto a uniformarsi al volere della maggioranza, che può essere talvolta molto intollerante con le minoranze. Vi porto a questo proposito un esempio tratto proprio da una delle tante prese di posizione di Mario Adinolfi; che giustamente reclama tolleranza per se stesso e per le posizioni da lui sostenute, ma nel sostenerle non si fa scrupolo di apparire a sua volta intollerante.

La rottura della sacralità e dell’unicità dell’istituto matrimoniale come unione di un uomo e di una donna, porta inevitabilmente e logicamente alla estensione dell’istituto stesso ad ogni forma di legame affettivo stabile. La legittimazione di poligamia, poliandria, unioni a sette, otto, dieci o venti persone, sarebbe dietro l’angolo con conseguenze letali per il tessuto sociale e la stabilità finanziaria degli Stati.” (Punto nr. 9 del manifesto “I 20 punti” sul quale si fonda l’associazione “Voglio la mamma”)

Pur volendo sorvolare sulla presunta “sacralità” del vincolo matrimoniale, che a uno Stato sedicente laico non so quanto potrebbe o dovrebbe interessare, non ci si può evitare di mettere in evidenza la stranezza delle argomentazioni che seguono quel primo assunto, che suonano arbitrarie quanto l’assunto stesso.

Anche ammettendo (il che ragionevolmente non è) che “La legittimazione di poligamia, poliandria, unioni a sette, otto, dieci o venti persone, sarebbe dietro l’angolo”, viene normale chiedersi perché Adinolfi si dica preoccupato per le conseguenze che tale legittimazione provocherebbe. Atteso che le conseguenze sul tessuto sociale non sarebbero affatto “letali”, a meno che Adinolfi non si senta in grado di dimostrare che storicamente non sono esistite e non esistono ancora società fondate sulla poligamia (paesi arabi) o sulla poliandria (alcune zone del Tibet), vale la pena concentrare la nostra attenzione sui pericoli derivanti per “la stabilità finanziaria degli Stati”.

Qui non ci vuole molto per capire che il riferimento di Adinolfi riguarda il cosiddetto Stato sociale. Quello, insomma, che redistribuisce reddito attraverso il meccanismo degli assegni famigliari, delle pensioni e delle agevolazioni fiscali. Non capisco però in cosa possa consistere il pericolo ventilato a proposito della stabilità finanziaria. Tanto per fare un esempio, all’INPS dovrebbe risultare indifferente versare, chessò, sette pensioni a sette vedove di altrettanti uomini piuttosto che a sette vedove di uno stesso uomo. O viceversa, considerando il caso della poliandria al posto della poligamia.

Mi viene allora in mente che Adinolfi, al pari di tanti altri che bazzicano dalle parti del PD, non sia molto versato per la matematica e creda sinceramente nella catastrofe dei conti pubblici. Ma questo pensiero non fa altro che aggravare la sua posizione, se si considera che il suo non è altro che un appello rivolto alla pancia della gente: “Fate attenzione! Dovessero poi svilupparsi la poligamia, la poliandria o le unioni multiple, Babbo Natale (lo Stato sociale) smetterebbe di elargirvi le regalie alle quali vi ha finora abituati.”

Non so a voi, ma a me questo discorso ricorda maledettamente quello di un caporale austriaco, che provò a convincere i tedeschi della bontà di una sua certa idea (far fuori una minoranza di ebrei) perché solo così la maggioranza avrebbe potuto permettersi l’abbondanza.

Mimmo Forleo