Per far rinascere il Sud, libertà e autonomia

12 Dicembre 2010 0 Di Life

Con l’approssimarsi del 150° anniversario dell’unità d’Italia, ho creduto fare cosa utile fornire ai lettori di Palagiano.net un florilegio di quanto di meglio, a mio modestissimo parere, la cultura meridionale di stampo liberale ha prodotto negli ultimi anni.

Può sembrare paradossale aprire la serie degli appuntamenti con un autore bresciano, Carlo Lottieri, ma il paradosso svanisce se si considera che si tratta di un autore che pubblica spesso e volentieri per un editore calabrese (Rubbettino, di Soveria Mannelli) e che lo stesso articolo qui riportato è apparso sulla rivista Liber@mente, che si pubblica a Catanzaro, di cui risulta essere tra i più fecondi collaboratori.

Buona lettura.
M. F.

Una delle conseguenze più gravi della storia italiana degli ultimi due secoli è la progressiva marginalizzazione del Mezzogiorno: la sua progressiva riduzione al rango di una realtà passiva, che subisce decisioni prese altrove. E tutto questo fin dall’inizio della vicenda unitaria, dato che il processo di unificazione risorgimentale si è realizzato grazie all’incontro tra le astratte concezioni “francesi” e i concretissimi interessi della Casa Savoia. Tale combinazione di fattori ha prodotto una crescente marginalizzazione delle autonomie locali e soprattutto della società civile, spazzata via dal prevalere di logiche giacobine.

Nel processo che porta alla nascita della monarchia italiana il Sud gioca essenzialmente il ruolo dello spettatore. Nel corso della prima metà del diciannovesimo secolo, d’altra parte, per molti fautori della rinascita nazionale il Mezzogiorno non è neppure parte in causa e quando nella primavera del 1860 il Regno di Sardegna ha ormai inglobato – con l’aiuto di Napoleone III – la Lombardia, la Toscana, l’Emilia e la Romagna, agli occhi del conte Cavour l’impresa poteva dirsi compiuta. Senza il colpo di mano di Garibaldi e dei suoi mille, la costruzione dello Stato nazionale si sarebbe limitata al Nord e al Centro.

Tale condizione di minorità non viene meno con la fine dell’età risorgimentale. Una volta assorbite dal Regno sabaudo e “piemontesizzate”, le regioni meridionali divengono oggetto di attenzioni paternalistiche (inchieste, studi, progetti di riforma) e anche di una politica economica che le penalizza. La volontà del nuovo ceto dirigente nazionale di realizzare costi quel che costi l’industrializzazione del Paese porta ad adottare politiche di chiusura di fronte agli scambi internazionali, le quali danneggiano gravemente l’agricoltura meridionale e sono all’origine di una massiccia emigrazione.

Un ruolo significativo giocano egualmente i numerosi industriali protezionisti del Nord (un nome per tutti, Alessandro Rossi) e quegli intellettuali e politici più in sintonia con tali idee: Luigi Luzzatti, ad esempio.

Inizia una storia durante la quale a più riprese il Nord finisce per violare i diritti delle popolazioni meridionali e che per giunta conduce il Sud ad assistere ad una storia pensata altrove, ma soprattutto
decisa e scritta in sua assenza. Non è quindi per nulla sorprendente se, all’interno dei vari movimenti politici italiani, per lungo tempo le spinte più antistataliste sono provenute proprio da personalità meridionali: dal liberalradicale Antonio De Viti De Marco al cattolico Luigi Sturzo, dal socialista Luigi Salvemini al sindacalista rivoluzionario Enrico Leone.

Quella del Sud è in larga misura una storia negata, che si ripresenterà più volte con caratteristiche molto simili. Quando l’Italia è travolta dal cosiddetto “biennio rosso”, ad esempio, è evidente che è su Torino e su Milano che si concentra l’attenzione di protagonisti e osservatori. Lo stesso fascismo sarà soprattutto un movimento sviluppatosi al Nord, tanto che la “marcia su Roma” muove dal capoluogo lombardo e non vede alcuna significativa partecipazione della gente meridionale.

Lo stesso si può dire per la guerra civile tra i repubblichini di Salò e la resistenza partigiana: una pagina cruciale nella vicenda italiana novecentesca, che ancora – e per ovvi motivi – non vede il Sud giocare un ruolo significativo. Ovviamente nella politica italiana non sono mancate singole figure rilevanti, dal siciliano Francesco Crispi al pugliese Aldo Moro (per limitarsi a due grandi nomi), ma nell’insieme è come se la storia italiana si sia sviluppata prevalentemente altrove.

All’indomani della fine della seconda guerra mondiale, l’avvio di una massiccia politica keynesiana ha completato l’opera: alla marginalità tradizionale si è infatti aggiunta una crescente dipendenza dal resto del Paese, la quale ha reso ancor più difficile un cambio di rotta.

Pure nel secondo Novecento tutti i maggiori fenomeni politici (dal terrorismo al craxismo, dal leghismo al berlusconismo) si sono sviluppati inizialmente altrove e solo in un secondo tempo hanno finito per interessare le regioni del Sud. La conseguenza è che, sul piano dell’autorappresentazione di sé, il Sud si è sempre visto come menomato rispetto al Nord, coltivando un mix di frustrazioni e rivendicazioni. Invece che muovere da una comprensione della propria realtà e dalla propria vicenda per costruire a partire da ciò un futuro diverso e migliore, esso appare quindi per essere prigioniero di logiche che non l’aiutano a progredire.

La riconquista di una diversa autonomia economica (e quindi anche politica e culturale) può aprire invece a una storia nuova, vissuta più da protagonisti che da oggetto di attenzioni – non sempre disinteressate – provenienti da altrove. Ma perché questo avvenga è urgente che il Mezzogiorno sia al più presto chiamato a fare da sé, rinunciando alla carità pelosa di un sistema dominato da politici che “aiutano” soprattutto al fine di rafforzare il loro potere sulla società.

È invece necessario che – entro un ordine autenticamente federale o anche grazie ad una piena indipendenza – le regioni meridionali conquistino un assetto basato sul rispetto della proprietà privata e del libero mercato, in modo da poter finalmente valorizzare quanti sanno intraprendere e hanno voglia di lavorare. Si tratta di un passaggio indispensabile se si vuole che anche qui (come già è successo in Irlanda o in taluni paesi ex-comunisti) possa aprirsi una vicenda autenticamente inedita: di cui andare fieri e in cui poter essere davvero protagonisti.

Carlo Lottieri
Università degli Studi di Siena
c.lottieri@tiscalinet.it

http://www.fondazionescoppa.it/site1/it/Settembre%202008.pdf