Contributo di Cleto iafrate

24 Luglio 2016 0 Di Life

FORZE DI POLIZIA: tra finte razionalizzazioni e veri e propri tentativi di  colonizzazioni di Cleto Iafrate

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Prosegue spedito il decreto attuativo della Legge Madia in materia di razionalizzazione delle Forze di polizia che prevede l’assorbimento del Corpo Forestale dello Stato nell’Arma dei Carabinieri. Nei giorni scorsi in Commissioni riunite I (Affari Costituzionali) e IV (Difesa) della Camera il decreto ha incassato anche il parere favorevole della maggioranza.

La maggioranza, allo scopo (dichiarato) di garantire il coordinamento[1] informativo, ha proposto di estendere a tutte le Forze di polizia la previsione di cui all’articolo 237 del DPR 90/2010 (punto c. del resoconto, pag. 13).

Per leggere il resoconto delle Commissioni, Clicca Qui

 

Il testo della disposizione di cui si chiede l’estensione è il seguente: «Indipendentemente dagli obblighi prescritti dalle norme del codice di procedura penale, i comandi dell’arma dei carabinieri competenti all’inoltro delle informative di reato all’autorità giudiziaria, danno notizia alla scala gerarchica della trasmissione, secondo le modalità stabilite con apposite istruzioni del Comandante generale dell’Arma dei carabinieri»[2].

 

Gli obblighi prescritti dal codice di procedura penale sono, verosimilmente, quelli di cui al primo comma dell’art. 329: «Gli atti di indagine compiuti dalla polizia giudiziaria sono coperti dal segreto fino a quando l’imputato non ne possa avere conoscenza e, comunque, non oltre la chiusura delle indagini preliminari».

 

La fase d’inoltro delle informative di reato precede quella delle indagini preliminari, che devono rimanere segrete. Il segreto investigativo permane in tutta la fase delle indagini preliminari, nella quale si acquisiscono gli elementi di prova, al solo fine di valutare l’esercizio o meno dell’azione penale. La previsione di compiere in segreto determinati atti in questa fase, risponde alla logica di evitare la compromissione delle stesse indagini.

[1] “Chi coordina, raccorda e organizza più elementi secondo il criterio più adatto rispetto allo scopo che vuole ottenere” (FONTE: Wikizionario)

[1] Si precisa che l’art. 237 è confluito nel DPR 90/2010 a seguito del processo di armonizzazione della vigente normativa militare, ma la sua datazione è anteriore alla legge 400/1988 sull’Ordinamento del Governo, pertanto si tratta di un atto formalmente presidenziale, ma sostanzialmente governativo, che ora, con un ulteriore atto governativo, si vorrebbe estendere a tutte le Forze di polizia.

La violazione del segreto provocherebbe un’alterazione dell’equilibrio dei poteri.

 

Il vocabolo “segreto” deriva dal verbo “seiungo” ossia, “secerno”, “separo”; rispetto a un dato fatto il segreto separa chi è tenuto a sapere, da tutti gli altri che non devono sapere. E’ di tutta evidenza che le possibilità che un fatto rimanga segreto diminuiscano all’aumentare del numero delle persone che ne vengono a conoscenza. Si tratta di discorsi elementari, che espongo con estremo imbarazzo temendo di offendere il lettore.

 

E se l’informativa di reato riguardasse esponenti delle istituzioni e la notizia che deve rimanere segreta fosse conosciuta da chi non deve sapere?

 

Se passa quella proposta la dipendenza della polizia giudiziaria dal pubblico ministero non sarà più diretta ma filtrata con modalità da stabilirsi con apposite istruzioni che saranno impartite dalla scala gerarchica; necessariamente ne deriverà un’attenuazione dei poteri del pubblico ministero, a vantaggio dell’esecutivo. Lo scenario prospettato dalla proposta, infatti, prelude a una scelta legislativa volta a concentrare nelle mani della polizia l’acquisizione della notitia criminis e le attività d’indagine immediatamente conseguenti.

Stando alla proposta, probabilmente, le forze di polizia raccoglieranno le notizie di reato, faranno i primi accertamenti e le prime valutazioni, poi informeranno la catena gerarchica, la quale deciderà di informare il pubblico ministero.

Il ruolo del PM, nella fase di avvio dell’azione penale, verrebbe ridotto; egli interverrebbe solo dopo che la P.G. avrà deciso contro chi esercitare l’azione penale.

 

Il pubblico ministero oggi è indipendente dal potere politico e “soggetto soltanto alla legge”; mentre gli appartenenti alle forze di polizia sono inseriti all’interno di una catena rigidamente gerarchizzata il cui ultimo anello si aggancia all’autorità politica (il ministro) a cui rispondono e da cui ricevono input e direttive.

Non si può escludere che la proposta di estendere la previsione di cui al art. 237 DPR 90/2010 a tutte le Forze di polizia rappresenti un radicale ribaltamento degli equilibri fondamentali della Costituzione, che aprirebbe le porte a rischiose ingerenze della politica sulla magistratura. Il potere esecutivo potrebbe interferire sulla indipendenza della polizia giudiziaria e, in astratto, intervenire in qualche caso per non far promuovere l’azione penale.

Si consideri che gli appartenenti alle forze di polizia, soprattutto quelle ad ordinamento militare, non sono posti nella condizione di dire “signornò[3]ai loro superiori; per i quali la carriera ha un peso estremamente rilevante[4].

E’ innegabile che anche oggi potrebbero esserci delle pressioni sulla polizia giudiziaria, ma la sua dipendenza funzionale dal P.M., prevista dalla lungimirante Costituzione, la pone al riparo dal Governo.

 

Nell’Assemblea Costituente il dibattito in merito alla dipendenza della polizia giudiziaria dal pubblico ministero fu ampio. Era ancora vivo il ricordo dell’esperienza del regime precedente, delle deportazioni e dell’uso politico della giustizia.

In quella sede emerse persino la proposta, ampiamente condivisa, di formare un corpo di polizia giudiziaria separato rispetto alle altre forze dell’ordine e posto direttamente alle dipendenze, sia funzionali sia gerarchiche, dell’autorità giudiziaria. Si giunse, probabilmente per motivi di contenimento della spesa, a una decisione di compromesso fondata su una dipendenza solo funzionale.

In ogni caso, il costituente mai si sarebbe sognato di porre un qualche filtro tra il P.M. e la P.G. ritenendo la dipendenza funzionale diretta condizione imprescindibile.

Cleto IAFRATE

 

 

[1] Per un ampio ed esauriente approfondimento sul punto, leggi le conclusioni cui perviene il COBAR-COAN della Guardia di Finanza con la delibera 1/6/XI: http://www.ficiesse.it/home-page/7661/le-proposte-del-cobar-aeronavale-della-guardia-di-finanza_-una-pietra-miliare-per-recuperare-l_elevato-spirito-democratico-della-legge-di-principio-sulla-disciplina-militare—di-cornelio

 

[1] I finanzieri, nel documento di cui alla nota precedente, scrivono: «.. Ancora oggi, in occasione delle nomine delle più alte cariche istituzionali in campo militare, si derogano le rigide procedure di assunzione dell’incarico di comando in relazione al grado rivestito e, a parità di grado, all’anzianità posseduta, privilegiando i criteri discrezionali attribuiti alle autorità decidenti. Le nomine avvengono su scelta politica.»