Tutti in “lacrime” per i dipendenti pubblici ma i privati chi li difende?

7 Giugno 2010 0 Di Life

In questi giorni di dibattito sulla manovra finanziaria, che pare non sarà sufficiente, da più parti si sente il “lamentoso” cordoglio per le misure che hanno riguardato il pubblico impiego.

Sembrerebbe che nessuno sia in grado di concepire le reali motivazioni della minore retribuzione in termini nominali del dipendente pubblico rispetto a quello privato, con quest’ultimo soggetto al rischio licenziamento o fallimento dell’impresa che non grava, invece, sul dipendente pubblico.

Sarà che al privato viene ad essere riconosciuto una sorta di fattore di rischio che, al contrario, il dipendente pubblico assolutamente non corre?

Allo stesso tempo sembra diffondersi, almeno in certa parte della politica, la progressiva convinzione che gli Enti pubblici debbano assolvere alla funzione di assorbimento della forza lavorativa inoccupata.
Tuttavia, anche in forze politiche che dovrebbero fare della tutela delle fasce più deboli la loro ragion d’essere, pochissime voci si sono levate per denunciare l’ennesimo scippo fatto in danno dei lavoratori autonomi. (n.d.r. gente che rischia in proprio nell’esercizio del lavoro).

L’articolo che segue, preso dal Corriere della Sera, risulta essere estremamente sintomatico, soprattutto nelle sue conclusioni, dell’esasperazione verso cui un certo modo di intendere il governo della cosa pubblica condurrà la popolazione.

Consideriamo, poi, che in genere il lavoratore autonomo è anche generalmente datore di lavoro e comprenderemo agevolmente che il progressivo strangolamento di chi, in dimensioni diverse, fa impresa altro risultato non avrà che quello di impoverire tutti indifferentemente.

Sarà arrivata l’ora che, non dico la sinistra c.d. radicale, ma almeno il Partito Democratico cominci a pensare seriamente ad un cambio di prospettiva in materia di politica fiscale e previdenziale applicata all’impresa?
Non formule vuote ma proposte concrete ed anche, laddove lo si voglia, relativamente semplici!!!

Un saluto
Donato Piccoli

FINANZIARIA – Calvo (Acta): “Un’altra mazzata sulle pensioni degli autonomi”

Le finestre mobili introdotte dall’articolo 12 del Dl n. 78 del 31 maggio 2010 sui trattamenti pensionistici di vecchiaia e anzianità colpiscono maggiormente i titolari di pensione di vecchiaia rispetto alla precedente normativa.

I lavoratori autonomi, come al solito, devono fare i conti con un allungamento più consistente. La manovra 2010 prevede l’introduzione delle finestre “mobili” sia per pensioni ordinarie di vecchiaia che per pensioni di anzianità, con un slittamento di dodici mesi per i lavoratori dipendenti e di diciotto mesi per i lavoratori autonomi.

Il provvedimento si applica a partire dal gennaio 2011 ed è “strutturale”, nel senso che dovrebbe essere applicato a tutte le coorti di pensionati che maturano i diritti dal 2011 in poi. Il provvedimento inoltre uniforma il pensionamento ordinario di vecchiaia e il pensionamento anticipato per tutti e tre i regimi (retributivo, misto e contributivo).

Mettiamoci nei panni di un professionista della gestione separata, che come moltissimi autonomi non è in grado di maturare i 40 anni di contributi pieni e coerenti e pertanto deve aspettare l’età della pensione di vecchiaia (65 anni).

Per noi quarantenni, prima della manovra di Tremonti, la prospettiva era:

– il sistema contributivo puro (quindi non una lira in più di quanto hai versato nel corso della vita lavorativa);

– la continua rivalutazione dei coefficienti di trasformazione (andatevi a vedere i coefficienti 2010 dell’INPS che calcola le pensioni come se noi maschietti vivessimo in media fino a 81 anni);

– dover lavorare fino a 65 anni;

– versare ogni anno il 26,72% del proprio reddito in contributi previdenziali (ma qualcuno dice che dovranno ancora aumentare!).

Ora, con la manovra un’altra mazzata: la pensione di vecchiaia in ogni caso non l’avrai prima di aver compiuto i 66 anni e mezzo. Si faceva prima a dire che per i lavoratori autonomi la pensione non esiste più e che i contributi previdenziali sono semplicemente una imposta da dare allo Stato per ripianare i suoi deficit.

Voglio ancora credere in un futuro per il nostro paese, ma da essere razionale, se trovassi il modo per eludere i versamenti contributivi lo farei ben volentieri, visto che in ogni caso con questo folle sistema, una pensione io non la percepirò mai.Non è così che si incentivano le persone a contribuire al bene comune. Ovviamente ci si è ben guardati di andare a toccare le aliquote previdenziali dei professionisti con albo, e ci si è ben guardati dal toccare le mega-pensioni dei dirigenti pubblici .

Come sempre si va a pescare sui diritti di chi non ha voce e di chi verrà dopo (il 2011…).

Romano Calvo – Consigliere Acta

fonte: www.corriere.it