Caro Saviano, sei tu che dovresti studiare…

Caro Saviano, sei tu che dovresti studiare…

10 Gennaio 2014 11 Di Life

Repubblica ha pubblicato un lungo pippone anti-proibizionista, “Il Padrino proibizionista”, di Roberto Saviano nel quale lo scrittore (?) napoletano si lascia andare elencando una impressionante catena di luoghi comuni e imprecisioni terminologiche. Operazione identica, anche se di segno apparentemente opposto, a quella nella quale indugiano spesso e volentieri i proibizionisti.

La difficoltà con la quale Saviano si muove affrontando il tema diventa evidente appena si ponga attenzione all’alto numero di volte che ricorre a raccomandazioni di questo tipo: “la situazione attuale impone un’analisi accurata del mercato delle droghe…”; “non esistono ovviamente studi per capire che effetti hanno sugli organismi la cera per scarpe o l’ammoniaca, se assunte regolarmente seppure in piccole dosi, ma per anni.” Eccetera, eccetera.

Avviso immediatamente il lettore che in tema di proibizionismo l’oggetto posto al centro della contesa tra favorevoli e contrari dovrebbe essere sempre secondario, atteso che dirsi favorevoli o contrari a qualcosa che sia oggetto di consumo, le droghe in questo caso, è questione assimilabile a una discussione sui gusti personali entranti in gioco ogni qualvolta vi è da decidere se acquistare o meno un certo bene di consumo.

Per fare un esempio, dovendo scegliere se acquistare vino o birra, interrogherò intanto le mie preferenze in fatto di gusto e poi farò i conti col mio portafogli. Se dovesse risultare che preferisco il vino alla birra ma il primo è più “caro” della seconda, ne potrebbe scaturire un ventaglio di possibili altre scelte: compatibilmente con la mia disponibilità di denaro potrei favorire la birra a discapito del vino, oppure potrei scegliere di acquistare birra e vino insieme razionando entrambi….

Questa semplice premessa ci conduce al primo degli errori commessi da Saviano: dirsi “anti-proibizionista” in economia può voler dire niente. Se si vuole eliminare il “mercato nero” (che altro non significa che libero mercato), traguardo che Saviano dice di voler raggiungere, non è consentendo l’uso di qualcosa che si ottiene l’obiettivo prefissato. A quel primo passo deve necessariamente far seguito un secondo: consentire ai privati di agire liberamente in quel mercato. Qui per privati (anche se non dovrebbe essere necessaria alcuna precisazione, ma non avendo mai Saviano studiato economia la precisazione s’impone) si intendono tanto i consumatori quanti i produttori, che vanno lasciati liberi entrambi di poter determinare le proprie scelte.

Afferma Saviano: “La proibizione di qualsiasi sostanza crea mercato nero, quindi guadagni esponenziali per le mafie. Fa aumentare il costo delle sostanze stupefacenti, quindi chi ha dipendenza ma non i mezzi economici, finisce per rubare, prostituirsi o spacciare a sua volta.”

Chi abbia un minimo di basi in teoria economica s’accorge presto che Saviano sta qui affrontando la questione del “prezzo” delle droghe. Questo risulterebbe “aumentato” per via del “mercato nero” che è controllato dalle mafie. È vero, il “mercato vero” fa sempre “aumentare” il prezzo dei beni in esso trattati ma bisognerebbe chiedersi “perché?”. Non so cosa risponderebbe Saviano a questo domanda ma è chiaro però, considerando gli strambi ragionamenti contenuti nel suo articolo, che non ha mai studiato economia e ben presto finirebbe fuori strada. Diamo allora la risposta giusta in vece sua.

Definiamo intanto cosa sia “mercato nero”: altro non è che un mercato il quale corre parallelamente a un altro “mercato” che sia stato regolamentato. La regolamentazione può essere di due tipi:

fiscale, prevedente cioè l’applicazione di una imposta su ogni bene (o servizio) reso oggetto di scambio. Detta imposta costringerà il venditore a praticare uno “sconto” di valore di solito pari al valore dell’aliquota di imposta da applicare per legge al bene scambiato (se l’IVA è del 20%, ad esempio, il venditore applicherà uno “sconto” pari percentualmente), questo per tenere bassa la somma dei guadagni che andranno a comporre il suo reddito, sul quale gli toccherà poi pagare un’altra imposta;

monopolistica, nel caso in cui un organismo istituzionale (lo Stato, solitamente) avoca a se stesso l’intero mercato di un bene e proibisce tanto ai consumatori quanto ai produttori di incontrarsi liberamente in occasione dei processi di scambio. Così facendo però si altera il processo di formazione del prezzo di un bene (scaturente sempre dal “gioco della domanda e dell’offerta”) e si va di filato incontro a uno di questi due inconvenienti: di un bene si daranno o penuria o eccessiva abbondanza.

Nel primo caso saranno i produttori “indipendenti” a soddisfare la domanda rimasta inevasa e, tramite il “mercato nero”, correggeranno tanto la quantità quanto il prezzo al quale quel bene sarà scambiato.

Nel secondo caso i produttori indipendenti non hanno alcun interesse ad entrare in un mercato già saturo e toccherà invece al monopolista ridurre in futuro la quantità prodotta del bene. Non disponendo questi però di alcuno strumento atto a fare previsioni esatte, nel futuro potrebbero darsi ancora abbondanza o addirittura penuria di un bene prima abbondante.

Queste definizioni riguardanti il modo in cui opera il libero mercato ci dicono alcune cose che Saviano non comprenderà mai, almeno fino a quando non deciderà di studiare seriamente l’economia per evitarsi di scrivere a ruota libera su argomenti che non conosce:

1) non è affatto vero dunque che i prezzi del “mercato nero” siano più alti di per sé; essi sono più alti rispetto ai prezzi praticati dal regolamentatore che ha sbagliato tanto le previsioni di domanda quanto quelle di offerta. Questo è il destino che attende ogni regolamentatore che voglia anche essere monopolista, come ben avrebbero dovuto insegnarci i fallimenti delle economie socialiste;

2) la sola legalizzazione delle droghe, senza una effettiva liberalizzazione del loro mercato, potrebbe determinare l’effetto contrario a quello auspicato. Se l’assunto di partenza è voler ridurre il consumo di droghe, la mancata liberalizzazione del mercato potrebbe invece determinarne un consumo maggiore. Il discorso è del tutto simile a quello cui assistiamo in campo sanitario allorquando un regolamentatore impone un “prezzo politico” ai farmaci: il loro basso prezzo (tenuto artificialmente basso) incentiva il loro acquisto, anche se il più delle volte sono destinati a essere parcheggiati in un armadietto di casa fino a quando non giungerà a termine il loro periodo di scadenza. Scaduto il quale finiranno probabilmente per essere buttati con la confezione ancora intonsa. Qui la differenza sta nel fatto che un tossicodipendente, invece di disfarsi della quantità eccedente ottenuta a buon-mercato, potrebbe incrementare i suoi consumi. O, ancora peggio, coloro che mai avrebbero pensato di ricorrere all’uso di droghe, potrebbero sentirsi incentivati a consumarle stante il loro basso prezzo di acquisto.

Mimmo Forleo