Con DILL’uNA BUSCìj!, la parabola esistenziale di un aspirante politico

26 Agosto 2010 0 Di Life

La vita del piccolo borgo descritta da Giacomo Leopardi, attento a coglierne ogni nascosto particolare, l’odore dell’alba e del tramonto, la sottile e surreale ironia di Achille Campanile, mista alle celebri “Tragedie in due battute”.

A voler semplificare, questa è la felice sintesi che lega i lavori della “Compagnia del Teatro Palagianese”, attiva nell’associazione Luce & Sale. Aspettative della vigilia confermate nella loro ultima rappresentazione, DILL’uNA BUSCìj!, due atti in semivernacolo, con la regia di Domiziano Lasigna, liberamente ispirata a “Sogno di una notte di mezza sbornia” di E. De Filippo.

Partiamo subito dal “liberamente ispirata”, quasi un ossimoro per la forza interpretativa dei protagonisti e per l’innovazione della sceneggiatura.

Bravi tutti, ma non si può tacere che Michele Mellone e Imma Casamassima, rispettivamente don Ninì e Filomena Cerracchio, coniugi nella vita e sulla scena, non interpretano il testo, ma lo trasformano e lo adattano alle loro note particolari, calandolo in una visione popolare e quasi underground della realtà.

Imma la conosco da sempre (le nostre case distavano tra loro di pochi metri): può interpretare Clotilde o Ermengarda, Filumena o la Vispa Teresa, ha la capacità di non lasciarsi travolgere dal personaggio (non sono loro infatti a dettar legge, ad impadronirsi dell’interprete), ma il contrario, perché la Imma della scena è esattamente quella di tutti i giorni. Non sembri irriverente l’accostamento, ma ricorda una pubblicità di fine anni ’50: “Basta la parola!”.

Con Domiziano Lasigna, altro punto di forza dell’associazione, formano un trio incomparabile, i tre moschettieri del campo, circondati dal corpo della compagnia, dove il ruolo di D’Artagnan viene ricoperto a turno da tutti i soci, perché qui non c’è spazio per l’individualità, ma per la coralità degli intenti e degli obiettivi.

Di Michela Maniglia la presentazione del lavoro teatrale, preceduto dall’assegnazione del premio Don Giovanni Pulignano, in linea con quelli che sono gli scopi fondativi dell’associazione, di difesa della Vita “in ogni momento del suo sviluppo terreno”. Dora Gesualdo, la destinataria dell’edizione 2010 del riconoscimento, palagianese, vive e lavora a Novasiri, paese del marito, Vincenzo Stigliano. “Quando rimasi incinta di Benedetta, è Dora che parla, mi riscontrarono un tumore alla tiroide, e il consiglio dei medici fu di abortire. Mi sottoposi all’intervento, continuando con la gravidanza, rimandando la terapia a dopo l’allattamento. La bambina nacque a dicembre 2008, iniziai la ioduria nel gennaio 2010. Chiamai la bimba Benedetta in onore della Madonna, perché per noi questa nascita ha rappresentato un miracolo”.

Nelle precedenti edizioni, i premi sono stati assegnati a Don Salvatore Casamassima, al Dott. Mario Cetera, alla memoria di Don Gaetano Infante, alla famiglia Licomati, e alla cooperativa Ortaj coop.

Dopo il doveroso omaggio a questa esemplare figura di donna e di madre, Domiziano e Michele si impadroniscono della scena, con un gustoso siparietto nella tradizione dei migliori Musco, Dapporto e Campanini.

Di mira, difetti, pregi e virtù di una gente apolide, con riferimenti puntuali a fatti e persone che hanno caratterizzato la scena locale.

In prima fila, il Sindaco di Palagiano Rocco Ressa, e il parroco della Chiesa Madre Don Rocco Martucci.
A loro i primi ringraziamenti.

Chiamato sul palco, un entusiasta Ressa propone di assegnare il Premio Don Giovanni, il prossimo anno, proprio a Luce & Sale, per l’opera meritoria che porta avanti, associandosi ai ringraziamenti per Don Rocco, che mette lo spazio dell’oratorio a disposizione.

Presenti anche “assessori, è il tormentone che segue, consiglieri di maggioranza, di opposizione, e quelli ‘non si sa mai’, che equilibrano l’amministrazione”.
“Palagiano è il paese delle mezze verità, proseguono con pungente ironia. Al Palazzetto dello Sport manca il tetto, al Teatro mancano le poltrone, abbiamo avuto mezze strisce pedonali”.

Con riferimento poi ad una “istituzione” locale, il portale www.palagiano.net di Mario Liverano, luogo virtuale di incontri e scontri sui fatti più disparati, osservano con sarcasmo “che qui c’è gente che parla di una cosa recente, il Pino di Lenne”.
Duellanti d’eccezione, il Sindaco e il Dirigente scolastico Tito Anzolin.

“Telefonativi, vi diamo noi i rispettivi numeri di telefono!”.

Inizia così la commedia, parabola esistenziale di un aspirante politico, che vuole diventare assessore agli Affari Pubblici.

Domina la scenografia, povera ma essenziale, un busto del Sindaco (straordinariamente somigliante a Ressa), al quale Don Ninì accende subito un lumino, per ingraziarselo. Il perché di questa aspirazione è presto detto: “Poiché da piccolo facevo pulitic per niente, ero predestinato a fare il puliticante”.

Il quadro successivo è per una splendida e applauditissima Imma, che subito lamenta le scarse prestazioni sessuali del marito, ricordando le parole di suo padre: “Se tuo marito vuole fare politica, mandalo a fare in…”.

E’ poi tutto un susseguirsi di personaggi “vari ed eventuali”, come la vedova Carolina (Lizia Monaco), la cui figlia Luana è fidanzata con Antonio (Gianvito Motola), figlio di Don Ninì. Carolina e Filomena si interrogano di quale tipologia di pazzia sia vittima l’aspirante assessore: se silente, non silente o autoindotta, rivelandosi poi per quest’ultima, come dimostrerà la scomparsa di cinquanta euro.

Uno dei tormentoni della serata, i tanti discorsi che per ogni circostanza e nell’eventualità, Don Ninì ha subito pronti, con i quali affligge chi lo circonda, come quello sulla Sagra della Palma, da tenersi ogni anno nella festività omonima, e che nelle sue intenzioni dovrebbe sostituire la Sagra del Mandarino.

Il momento clou arriva quando papà Cerracchio racconta di una sua “visione”, un sogno rivelatore: “L’Autorità veniva verso di me, e mi disse di essere al corrente della mia devozione verso la sua effige. Mi ha così dato quattro numeri da giocare, con i quali sarei divenuto ricco, 8 – 13 – 52 – 90”. Numeri che rendono realmente felice tutta la famiglia, per la vincita milionaria che ne segue, meno Don Ninì, perché consapevole che quei numeri in effetti rappresentavano ora e momento della sua morte: “Fra otto mesi, alle ore tredici, all’età di 52 anni, novanta giorni dopo il tuo compleanno”.
A scombussolare l’ormai precario equilibrio familiare, l’arrivo della figlia Lina (Domiziana Cumbo), con il suo fidanzato di colore Bogongo (Rocco Forleo). Giunge intanto l’ora prestabilita per la dipartenza, mestizia dappertutto, fino alla visita del dottore (Vito Pesare), che sentenzia: “Don Ninì, hai una salute di ferro!”.

Finale: tutti i presenti si rivolgono al busto ormai reso sacro, con una preghiera: “Hai sempre detto la verità, almeno una volta DILL’uNA BUSCìj!”.

Altri interpreti, i camerieri Assunta (Amalia Anzolin) ed Erasmo (Antonio Petralla), Mimmo il garzone (Francesco Curione).

Un parterre con 800 posti da tutto esaurito per entrambe le serate, grande soddisfazione per gli organizzatori, meritati, sinceri e ripetuti applausi da parte del pubblico. In definitiva, un lavoro teatrale dove i dialoghi sono volati tra gli spettatori, sedendosi tra loro e prendendoli per mano, amalgamando e rotolando la scena, mentre le emozioni entravano nei loro ricordi, in un vagare etereo che dura a lungo.

Giuseppe Favale