“Peppino L’Erede è morto lavorando e come tale doveva essere onorato”

26 Maggio 2010 0 Di Life

di Donato Piccoli.

Capita a volte, nel fare politica, di dover guardare indietro alla propria esperienza dovendo riconoscere, con un po’ di rammarico misto a tristezza, di aver commesso degli errori.

Tali errori, però, assumono il sapore insopportabile del fallimento quando riguardano un gesto di mancato rispetto nei confronti della sofferenza degli uomini che, a torto o a ragione, ci si considera degni di amministrare.

Quando poi, come purtroppo è accaduto, l’errore si traduce in un assordante silenzio sulla morte di un lavoratore la consapevolezza dello stesso si traduce in riflessione e conseguente presa di coscienza di quanto sia facile, di questi tempi, confondere la politica, intesa come cura della polis, con il mero tatticismo strategico, il cui fine è la presa e la conservazione del potere.

So che questa premessa potrà suonare sgradita alle orecchie di molti ma, nella sincerità e crudezza che deve essere alla base di ogni vera autocritica, essa rappresenta l’unica possibile a fronte del silenzio che, tutti, noi politici di Palagiano abbiamo riservato alla morte di Peppino L’Erede.

Peppino L’Erede è morto lavorando e come tale doveva essere ricordato ed onorato da tutta una Comunità, il cui dovere è quello di stringersi ai propri membri quando vi sono avvenimenti terribili come questo; dovere accresciuto quando, come nel caso di Peppino, il destino beffardo vuole che la morte ti venga a trovare nel momento in cui, con il lavoro, stai svolgendo un’attività per la vita.

“L’Italia è una Repubblica democratica fondata sul lavoro”, recita l’art. 1 della nostra meravigliosa Cosituzione, quanto mai attuale e moderna nella parte dedicata ai diritti fondamentali di ogni individuo!

Quella frase non opera alcuna distinzione eppure, sempre più, si tende a considerare lavoro solo quello dipendente inasprendo un conflitto sociale tra lavoratori autonomi e dipendenti che, a parere di chi scrive, oggi ha scarsissima ragion d’essere.

Sono i dati statistici a dircelo perché, come oggi avviene, quando il 14% degli operai e l’11% dei lavoratori autonomi vive la soglia di povertà relativa non è la contrapposizione tra “padrone e dipendente” la chiave di volta per la risoluzione dei problemi.

Ed è forse questa contrapposizione, questo modo di intendere il lavoro in una dimensione monca, che ci ha fatto derubricare la morte di Peppino ad un banalissimo incidente stradale e non, come invece è, ad un drammatico incidente sul lavoro.

Chiunque abbia mai usato un trattore sa che con tale mezzo i rischi cominciano nel momento stesso in cui lo si mette in moto e terminano solo quando lo si ricolloca in rimessa; stare sul trattore per recarsi nei campi, ora che in campagna i trattori non si possono più lasciare per i furti, per un agricoltore equivale allo stare innanzi ad un tornio, ad una pressa, ad un altoforno per l’operaio.

Nel momento stesso in cui accende il motore, per iniziare la marcia, quell’agricoltore sta già lavorando.

Questa è la ragione per cui Peppino L’Erede andava e va commemorato tra quanti per il lavoro hanno perso la vita.

Su tale vicenda tutti abbiamo sbagliato e nessuno può esimere se stesso dalla responsabilità che deriva dalla leggerezza e superficialità con cui, ormai sempre più spesso, guardiamo alle vicende della vita.

Oggi, però, viene il tempo di porre un sia pure parziale rimedio all’errore riconoscendo a Peppino L’Erede, il 29 Maggio nel trigesimo della sua scomparsa, il ricordo di cittadino di Palagiano, di padre esemplare per i propri cari, di lavoratore.

Un saluto

Donato Piccoli