Raffaele Nigro presenta il suo romanzo a Palagiano

18 Gennaio 2011 0 Di Life

“Fernanda e gli elefanti bianchi di Hemingway”

A metà degli anni Cinquanta, Ernest Hemingway è ormai prostrato da un’esistenza trascorsa sull’orlo del baratro. Quando però Fernanda Pivano lo informa che in Lucania si aggira una strana bestia bianca, a metà tra un elefante e un mammut, la sua indole di cacciatore ha un brusco sussulto: non può mancare al safari più eccitante della propria vita. Così Hemingway arriva in Italia, e intraprende un viaggio al Sud, che è ricerca di una belva enorme, ma sfuggente. E che, per il vecchio scrittore, sarà anche l’occasione per la più inattesa e intensa delle storie d’amore. Di questo insolito safari parla Raffaele Nigro, Caporedattore della sede RAI di Bari, nel suo romanzo “Fernanda e gli elefanti bianchi di Hemingway”.

“Questo libro in parte racconta una storia vera, ha detto l’autore in un recente incontro nella Biblioteca comunale di Palagiano, in parte è frutto di invenzione, un po’ come accade spesso nei miei libri. La parte vera è quella legata al Premio letterario Piero Chiara, un premio per il quale fui chiamato dal Sindaco di Varese nel 1988, dove c’era una Giunta di centro sinistra, e mi chiese se fosse possibile realizzare, nella città di Piero Chiara, un premio letterario che lo ricordasse. Ci misi come presidente lo scrittore napoletano Michele Prisco e, fra i giurati, Gino Montesanto e Fernanda Pivano.
Un giorno, il messo ci recapita una lettera di dismissione: ‘L’Amministrazione comunale la ringrazia per l’apporto dato finora per il Premio letterario Piero Chiara, e interrompe il rapporto con lei’. Era accaduto che una Giunta leghista, avesse deciso di cacciarci. Saremmo stati sostituiti da altri giurati etnicamente e politicamente corretti e solo a lei, Fernanda Pivano, in quanto discendente di Alberto da Giussano, era concesso di restare. ‘Non accetterò di restare in nessuna giuria di questo posto bastardo!’, fu invece la sua reazione.
Questa faccenda, non tanto la dismissione, quanto una Italia improvvisamente divisa politicamente, mi dava in qualche modo una sorta di angoscia, e la stessa angoscia la comunicavo ai miei amici di giuria e a Fernanda.
In macchina mi venne un dubbio: è giusto che io me la prenda tanto per ciò che sta accadendo? Non sono io nato in un luogo che è l’origine della grande cultura occidentale? Quando noi pensiamo all’antica cultura greca, in realtà noi parliamo di Pitagora, che ha insegnato a Metaponto, quando parliamo di filosofia greca, parliamo di Parmenide, Zenone, quando parliamo di grande letteratura latina parliamo di Orazio, Leonida.
Noi meridionali siamo tutti unitari.
Mi appassionavano i racconti della Pivano, e che sapesse tutto su Hemingway.
Ciò che mi incuriosiva di Hemingway è che avesse cercato in tutta la sua vita i luoghi dove nascono e si consumano le passioni, e sentivo il bisogno di utilizzare la sua figura in qualche maniera. Chiesi alla Pivano se fosse mai venuta dalle nostre parti. Rispose di si, perché nel 1955-56 venne in Italia meridionale per un safari molto strano, e accompagnò Hemingway. Aveva saputo dall’antropologo Ernesto De Martino, che tra Puglia e Basilicata c’erano dei mammut, e telefonò a Hemingway, che era appassionato di caccia grossa, convincendolo a venire”.
“Cosa sono i mammut? Si è poi chiesto Nigro. Sono i nostri paesi, questi paesi dello spopolamento, che cadono giorno dopo giorno, o per i quali non riusciamo ad avere il giusto rispetto.
Mammut è l’età che incalza, i capelli sempre più bianchi davanti allo specchio. Metto una mano in tasca, e trovo un biglietto che stà quasi scadendo, e mi impedisce di pensare, di architettare un futuro semplice anteriore, che sia fatto di ponti a lunga gittata. C’è poco tempo a disposizione, e queste riflessioni ti vengono ad un certo punto della vita, quando incominci a fare bilanci, e se il bilancio ti porta alla crisi, allora sono dolori.
La crisi non è venuta tanto dall’età, ma dalle cose che ho fatto e dai libri che ho scritto, quello che non sono riuscito a fare. Ancora oggi penso che il mio romanzo lo debba ancora scrivere.
Avevo una professoressa di Filosofia morale all’Università, che mi diceva: ‘Quando vedi una montagna non aggirarla, scalala, è difficilissimo, ma quando sei sulla cima potrai guardare tutte le valli che ti stanno attorno, e dirti, ho fatto qualcosa di importante’”.

Presenti all’incontro, moderato dall’editore Antonio Dellisanti, oltre all’autore, Maria Grazia Mellone – Consigliere Delegata alla Cultura (“Questo libro celebra anche la straordinarietà di un incontro, non solo tra letteratura italiana ed americana, e in quell’incontro si inserisce il ponte della nostra bella Italia meridionale, mostrandoci un luogo in cui nasce e feconda l’amore per la nostra gente”), e Rocco Ressa – Sindaco di Palagiano.
Dopo una battuta sulla crisi dell’età (“Per la tua crisi, vorrei darti qualche certezza, la medicina ha fatto lunghi passi, si vive anche oltre 90 anni, puoi ancora lanciare qualche sguardo più in là”), la decisione, comunicata dal primo cittadino, che a breve allo scrittore lucano verrà offerta la cittadinanza onoraria.

Giuseppe Favale