Veltroni l’Africano (mancato)

Veltroni l’Africano (mancato)

11 Dicembre 2012 2 Di Life

Aveva promesso di andarsene in Africa e per fortuna, degli indigeni, non l’ha fatto. Adesso ha promesso di non candidarsi, temiamo però che alla maniera della bimba incanutita Rosy Bindi presto anche lui farà appello allo “Statuto” per farsi riservare un posto in parlamento.

Nel frattempo si compiace di ritornare in scena e dispensare qualcuno dei suoi indimenticabili consigli. Sapevate che fu Roosevelt con il New Deal a tirar fuori l’America dalle secche della Grande Depressione del ’29? No? Bene, adesso lo sapete. E fa nulla se la notizia si rivela esatta neppure di striscio.

Comunque, inesattezze a parte, ciò che conta, dice Walter, è avere la «visione» perché «In altre culture se non hai la visione, cioè se non disegni il destino che vuoi proporre al tuo Paese quando lo devi guidare, non hai cittadinanza». Infatti, nell’America in cui ha rivinto Obama detto “il visionario”, in senso buono però, a Romney adesso toccherà chiederla altrove, la cittadinanza. Spero proprio che decida per l’Africa, così gli africani la smettono di venire a cercare Walter dalle parti di Lampedusa.

Qualcuno lo spiegasse una buona volta agli africani che è stato Berlusconi a comprare casa nell’isola e che l’isola scelta da Veltroni per comprare un appartamento, alla figlia, è quella di Manhattan.

«Visioni a parte, due cose concrete da fare subito.», si affretta a chiedere l’intervistatrice. E dalla fretta che ci mette si intuisce subito che la storia della «visione» dev’essere sembrata stramba pure a lei.

«Della prima mi capitò di parlare proprio con il Corriere nel 2008: questo Paese deve stipulare un nuovo patto per la crescita tra produttori. C’è una comunità di destino tra gli operai e gli imprenditori: se finiscono i secondi finiscono anche i primi, e se i primi lavorano in condizioni di scarso coinvolgimento e basse retribuzioni, gli effetti sulla produttività si vedono.», risponde Veltroni.

Eh già, c’ha proprio ragione Walter; anche Obama “il visionario” si direbbe d’accordo. Peccato però che la soluzione l’abbia a suo tempo declinata in maniera leggermente diversa da come la propone Walter: «Questo è l’imprenditore che vi mancava,» disse Obama agli operai della Chrysler presentandogli Marchionne, «adesso accettate il dimezzamento dei salari e mettetevi al lavoro di buona lena. Come? Volete pure essere coinvolti nel processo produttivo? Ma si capisce! Datevi da fare, sennò col c…o vi schioderete dal livello salariale che vi abbiamo imposto.»

E la seconda, la seconda delle «due cose concrete da fare subito»?

«Il secondo aspetto è la legalità. Possiamo fare le manovre finanziarie che vogliamo, ma se tutto questo verrà succhiato, come è succhiato, dalla spirale dell’illegalità nelle sue varie forme, sarà come svuotare il mare con un cucchiaino. Non ci si rende conto che questo è il primo problema del Paese, non solo del Sud: nel dibattito politico italiano non c’è questa questione».

Eh sì, manca davvero questa questione nel dibattito politico italiano. Dipenderà forse dal fatto che ci siamo fatti distrarre da quest’altra?

Stando a quel che dice Ugo Arrigo, «In realtà le maggiori tasse da pagare e pagate restano tutte, i tagli alla spesa pure. Quello che è scomparso è invece l’effetto atteso di quei provvedimenti sui saldi di finanza pubblica: non pervenuto, evaporato, scomparso, dissolto, volatilizzato, integralmente bruciato dalla recessione economica che ha cancellato Pil nominale e quindi le tasse che su di esso sarebbero state pagate con le precedenti aliquote, senza bisogno di manovra alcuna, oltre ad aver probabilmente accresciuto la spesa per la protezione sociale.»

Adesso provo a spiegarlo con parole più semplici, al caro Walter, cosa intende dire l’economista Arrigo.

Nel 2011 si sono susseguite ben 3 manovre finanziarie, due volute da Tremonti e una da Monti, per complessivi 49 miliardi di euro in nuove tasse (vale la pena specificare che anche i tagli al welfare e ai sussidi alle imprese fungono da tasse) che avrebbero dovuto dispiegare i loro i effetti sui conti dello stato nel 2012: il 3,9% di disavanzo sul PIL registrato nel 2011, nel 2012, stando ai conti fatti dal governo, si sarebbe dovuto quasi azzerare passando dal 3,9 allo 0,9%.

Come avrebbero dovuto agire le nuove tasse? Lo diciamo con i numeri, cercando di rendere quanto più semplice possibile la risposta: reso uguale a 100 il PIL 2011, ne consegue che la spesa nello stesso anno di riferimento è stata pari a 103,9. Nel 2012, prevedendo che il PIL sarebbe cresciuto dell’1,3%, attestandosi così a quota 101,3, la spesa non avrebbe dovuto superare quota 102,2 (= 101,3 + 0,9), grazie appunto all’effetto combinato delle maggiori entrate tributarie e delle minori uscite per spese.

Cosa è successo realmente nel 2012? È successo che il PIL, invece di crescere, per via degli effetti recessivi innescati dalla 3 manovre si è ridotto di 2,4 punti percentuali, attestandosi così a quota 97,6. Oggi abbiamo dunque il PIL a 97,6 e la spesa a 102,2 (a voler essere ottimisti); facendo il rapporto tra queste cifre ricaviamo a quanto ammonterà il disavanzo 2012: 4,7%!

In pratica il disavanzo di spesa, nonostante le nuove tasse, invece di migliorare è addirittura peggiorato e solo uno sprovveduto, in tutti i sensi, potrebbe addebitare tale peggioramento all’azione di una «spirale dell’illegalità nelle sue varie forme».

È vero invece che possono esistere varie forme d’ignoranza economica – quella che fa dire a Veltroni le insulsaggini appena viste e quella che fa sostenere a Vittorio Grilli che tutto sommato 3,8 punti di differenza tra il disavanzo atteso e quello concretizzatosi «Sono scarti decimali che in questo clima di incertezza sono del tutto accettabili» – ma tutte portano inevitabilmente alla medesima conclusione: l’Italia dev’essere un paese di matti.

Mimmo Forleo