Generazione U per una costituente del partito democratico

3 Maggio 2006 Off Di Life
Partito democratico, s?, subito. A una condizione. Non lo possono fare loro. Non ci riproponete il parroco settantenne che voleva festeggiare alle sei di pomeriggio. Non il marinaretto che vedeva vittorie schiaccianti. Non il segretario del Partito comunista torinese di trent'anni fa. Neanche il vecchio Signor Hood (e chi vuole capire, capisca, riascoltando un De Gregori di trent'anni fa). E non pu? decidere tutto un Ingegnere anche lui un po' decrepito che se na va sempre in giro in barca ed ? invidioso del Cavaliere.

Il partito democratico lo facciamo, ma lo facciamo noi: a questo punto la questione generazionale diventa questione politica. Perch? tra le ragioni di questa finta vittoria numerica e vera sconfitta politica, dati i punti di partenza, c'? anche di non aver suscitato un'idea nuova che ? una.

E questo ? un problema o no?

Nel 2007 si finir? per rivotare e se non ci inventiamo subito qualcosa le destre ci asfaltano e non ci rialziamo pi?.

Il 6 maggio
Avevamo detto fin dall?inizio. C?? bisogno di un luogo di incontro perch? tutte le persone che si sono incrociate su queste pagine e sulle pagine elettroniche dei nostri blog, che hanno fatto da vero tessuto connettivo a questo confronto, trovino il modo di discutere sul serio. L?idea ? di vederci il 6 maggio mattina, a mezzogiorno. E? un sabato, tutti i ponti festivi saranno alle nostre spalle, e forse pure qualche eccessivo veleno inoculato dai colpi di coda caimaneschi del governo che se ne sta per andare. Ci sar?, lo spero proprio, Stefano Manichini a dirigere il traffico di quella che sar? un?assemblea senza tavoli di presidenza, con microfoni che gireranno per la sala, con telecamere che riprenderanno tutto e soprattutto con noi, che se avremo qualcosa da dire, sar? quello il momento per dirlo.

Lo schiaffo
Sar? un?assemblea di autoconvocati e non ci sar? un ordine del giorno rigido. E? chiaro per? che si incontrano coloro che condividono l?analisi di fondo: i partiti del centrosinistra non hanno saputo ottenere i consensi necessari a consegnare definitivamente al passato l?esperienza berlusconiana, milioni di giovani hanno dato il loro consenso all?Ulivo investendo su di esso una porzione del proprio futuro, occorre che quella spinta non venga dispersa e vengano isolate le tentazioni oligarchiche del sistema dei partiti che sembra vittima dell?incapacit? di autoriformarsi. E? possibile che dall?assemblea del 6 maggio emerga la necessit? di dare uno schiaffo, ? possibile che la stessa assemblea si tramuti in uno schiaffo. E? possibile, lo determiner? il livello della nostra rabbia, che dovremo saper trasformare in una forma di entusiasmo. Per la Generazione U, quella che vuole fare inversione, sar? un banco di prova.

Le ragioni e i simboli della Generazione U
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Generazione U, come Uno
Tutti a chiedere: ?Ma perch? generazione U??. Ci siamo chiamati cos?, a questa U abbiamo intitolato lo sforzo organizzativo del 6 maggio, di far uscire dalle pagine elettroniche giovani e giovanissimi che stanno animando, principalmente sui blog, questo confronto che riguarda il futuro del centrosinistra, che noi vediamo intimamente connesso con il futuro del partito democratico. E allora, prima di tutto, U come Uno. Uno solo, un unico partito per rappresentare il motore di un centrosinistra che con l?assetto a due gambe dimostra di non perdere, ma non di sapere vincere. Un solo partito al centro non solo della coalizione, ma del paese. Un partito del trenta per cento, speriamo di pi?, che sia collettore di speranze.

U come U2 (you too, anche tu)
S?, U come il gruppo irlandese di Bono Vox e The Edge, quelli che cantano ?One?, che sembra fin d?ora l?inno scritto apposta per la generazione U (you ask me to enter / but then you make me crawl e chi vuole capire, capisca).  U2 in inglese si legge you too e significa anche tu. E? l?invito pi? sintetico e adeguato alla partecipazione collettiva che sia mai stato coniato. Due sole lettere, per abbracciare tutto e tutti.

U come inversione a U
Fin dall?inizio, la prima definizione ? stata questa: ci chiamiamo generazione U perch? vogliamo evocare l?idea di un?inversione di rotta, di marcia, persino di corsia. Ci sono cartelli stradali che vietano l?inversione a U e non cartelli che la consentono. Occorrer? inventare una segnaletica adeguata. Occorrer? inventare, punto.

U come Ultima chiamata per le generazioni assenti
La generazione invisibile, la generazione X, ha l?occasione di risalire qualche gradino dell?alafabeto. Certo, almeno in politica, non arriveranno molte altre occasioni come questa. Anzi, probabilmente non ne arriver? nessuna. E? l?ultima chiamata per le generazioni assenti, in particolare per quella dei nati negli Anni Settanta, tenuti completamente fuori dagli eletti nelle liste dell?Ulivo. Che sia una delle ragioni della vittoria mutilata del 10 aprile?

U come Unica possibilit? per il centrosinistra

Quante altre possibilit? ha il centrosinistra, oltre quella di affidarsi all?iniezione di entusiasmo che il processo costituente del partito democratico saprebbe certamente generare? Ovviamente, bisogner? vedere verso quali meccanismi si orienter? tale processo. La sommatoria delle consuete dinamiche delle oligarchie dei partiti e delle aree di influenza sarebbe chiaramente insufficiente. Ma questo lo abbiamo ripetuto tante di quelle volte che ormai ci annoiamo anche a scriverlo.

U come Unica moneta
Il Financial Time avanzava luned? uno spettro colossale per l?Italia: l?uscita dall?area della moneta unica europea, dell?euro per capirci, nel giro dei prossimi dieci anni. Sarebbe una catastrofe e una delle caratteristiche programmatiche delle Generazione U dovr? essere quella di dare la caccia a tutti gli euroscettici e nostalgici della lira. Se c?? una piccola possibilit? per un minima percentuale dei trentenni di acquistare una casa e accendere un mutuo, questo lo dobbiamo all?introduzione dell?euro. Perdere questo baluardo sarebbe una tragedia.

U come Unit? Europea
La prospettiva dell?Unit? Europea diventa, di conseguenza, il traguardo ideale di tutta la nostra generazione, insofferente ai confini nazionali, pi? spesso vissuti come un limite che come un elemento di fascinazione. Se c?? una bandiera da sventolare per la Generazione U, ? quella blu con le stelle.

U come Ulivo (o come Unione?)
Il dibattito su questo tema nei blog ? interessante. La Generazione U deve stabilire confini? Si fa il partito democratico facendo riferimento alla U di Ulivo o alla U di Unione? La mia opinione ? nota: propendo per la prima ipotesi, almeno come passo iniziale. Ma su questo e su tutto il resto, come ? ovvio, il confronto ? aperto.

Intergenerazionali
Precisiamo. l?iniziativa del 6 maggio non ? in alcun modo legata ad un fantomatico progetto di costruire un presunto ?partito generazionale?. Per capirci, non stiamo tentando di costruire un?inutile ulteriore sigletta attorno alla quale aggregare i nati negli Anni Settanta. Quello che faremo il 6 maggio ? dare una spinta per la costruzione di un grande processo politico popolare che conduca alla nascita del partito democratico. Di un partito, cio?, in grado di attirare non solo il consenso ma anche la militanza di quel terzo abbondante di italiani che considerano utile dare un senso nuovo alla parola ?politica?. Una generazione si pu? assumere la responsabilit? di innescare il processo, ma ? chiaro che tutto quello che si muover? dovr? essere necessariamente un?esperienza intergenerazionale. Mi ? piaciuta molto la risposta di Federico Orlando (non certo un giovanotto) a un lettore giovanissimo che rivendicava la propria appartenenza alla generazione U, quella dell?inversione di rotta, come abbiamo voluto intitolarla. In quello spirito orlandiano, ulivista e innovatore a prescindere dal dato anagrafico, noi tutti che condividiamo carte d?identit? piuttosto giovani intendiamo ritrovarci. Figuriamoci se stiamo qui a creare impensabili barriere o dogane insensate. I Perpetui, per?, sono un?altra cosa: gli inamovibili del Palazzo. Quelli sono i nostri avversari. Forse, i nostri nemici.
Verrebbe da dire, risolviamola subito questa questione. Noi, nel nostro piccolo, nel nostro quotidiano agire politico (nel partito, sul territorio, nelle scuole e  nelle universit? o nelle amministrazioni locali) stiamo diventando “vecchi” a forza di rivendicare uno spazio generazionale. Ci stiamo avvicinando pericolosamente alla successiva generazione. I ventenni diventano trentenni e poi quarantenni. Gli adolescenti giungono ai vent?anni, istituzionalizzano il loro disinteresse per la politica o iniziano a guardare con sospetto i non pi? giovani o i giovani di professione

La coraggiosa battaglia di Mario Adinolfi ?, da anni, anche la nostra battaglia e saremo al suo fianco il 6 maggio a Roma, a pochi metri dai luoghi sacri della politica, a pochi metri dal nostro partito e dalla redazione di Europa, a pochi metri dai luoghi delle istituzioni repubblicane e da via Caetani, a pochi metri da quella piazza Santi Apostoli nella quale abbiamo nervosamente atteso e nervosamente festeggiato qualche notte fa. A poca distanza, idealmente, dai luoghi delle battaglie dei nostri padri, un tempo giovani anche loro. Il trascorrere del tempo relativizza i punti di vista, a volte in maniera paradossale. Ci viene in mente una idea del cosiddetto marketing generazionale. I consumatori, gli uomini, le donne, i giovani, sono a volte accomunati da una comune esperienza “generazionale” che travalica i confini anagrafici. Grandi eventi culturali o politici o civili possono tenere insieme anche inconsapevolmente milioni di esseri umani che ne hanno condiviso l'esperienza. La generazione del secondo dopoguerra, oppure quella dei Beatles, oppure quella dei blog, o quella delle Brigate Rosse, o la generazione del Caimano, o la generazione U, eccetera.

Molte di queste esperienze generazionali si intrecciano e oggi ci viene in mente che dopotutto, forse, potremmo considerarci anche la Generazione C. Come Chernobyl. Sono trascorsi 20 anni. Noi ne avevamo quindi 8. Ricordiamo tutto. Ricordiamo i telegiornali, le poche precauzioni prese, l'incertezza, gli anni successivi trascorsi nel timore, anzi nella consapevolezza che qualcosa della nostra salute, del nostro ambiente era stato irrimediabilmente compromesso, la tragedia degli abitanti delle regioni attigue alla centrale nucleare, l'eroismo degli operai e dei soldati russi, la follia, la cecit? del regime sovietico che in quella occasione mostr? tutto il suo pericolo e tutte le sue debolezze, i casi di malattia in famiglia o tra amici. La generazione C. Giovani e non solo, per sempre segnati a prescindere dalle valutazioni a sangue freddo sulla opportunit? di utilizzo dell'energia nucleare dal pi? catastrofico evento civile di devastazione del nostro ambiente. Il fallimento di un sistema politico, il fallimento dell'uomo. Il recente dibattito sulle nuove stime delle conseguenze sanitarie della nube radioattiva non ci interessa. Chernobyl ? una delle pi? potenti simbologie (negative) del secolo breve che ci hanno catturato.

Ma siamo anche la generazione B, la generazione del Muro di Berlino, quanta potenza evocativa, quanti sogni, quante speranze crescevano mentre cadeva quel confine, sedici anni fa? E siamo anche la generazione dell'Ulivo, quella di “Notte prima degli esami”, quella dell'undici settembre, certamente e perch? no, la prima generazione dal dopoguerra italiano con prospettive di benessere inferiori alla precedente.

Ebbene il marketing generazionale ricerca consumatori con stili di vita e di consumo simili a prescindere dall'et? anagrafica: un cinquantenne pu? avere talvolta uno stile di vita simile a quello di un trentenne, talvolta pi? simile a quello di un settantenne. Allora forzando la nostra metafora e passando dal mestiere di chi piazza scatolette a quello di chi produce e vende delle idee ed elabora delle soluzioni ci viene da pensare che questa battaglia vada portata su un campo di battaglia pi? ampio. La generazione U non ha barriere anagrafiche, d'altronde le conseguenze del mancato ricambio generazionale e della mancanza di merito nella selezione della classe dirigente ricadono su tutti i cittadini e non solo su quelli che anagraficamente sono tenuti fuori dalla stanza dei bottoni. Per questo il nostro invito ? ad esserci il 6 maggio per dare una faccia, delle braccia ed un cuore alla generazione del Partito Democratico. E a chi ci sar? chiediamo di immaginare un orizzonte politico pi? ampio e di rivolgersi alla attuale classe dirigente con maniere brutali ma anche consapevoli che i “non pi? giovani” oggi al comando dei nostri partiti hanno vissuto la nostra stessa ostracizzazione. Cerchiamo di ricordarglielo ma non prendiamoli a cannonate.

Arrivano anche le critiche, alcune pesanti, tutte pi? o meno con lo stesso concetto: siete velleitari, non ? che se uno ? giovane ? meno pirla di uno anziano e cos? via. Risposta: un eletto su trecentotrenta dell'Ulivo ha meno di 35 anni, se per voi questo non ? un problema i pirla siete voi.

Se siete a Roma, andateci tutti e se non siete a Roma organizzatevi per andarci. Non serve per forza che abbiate trent?anni, va bene anche se ne avete settanta e siete arcistufi di vivere in un posto dove in televisione il sabato sera c'? Raffaella Carr? e la domenica pomeriggio c'? Pippo Baudo. Da quando ne avevate trentacinque. E noi al massimo cinque?.

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