A lezione da Franco Di Mare, giornalista RAI

10 Aprile 2009 0 Di Life

Presentato il suo libro sugli orrori della guerra, “Il cecchino e la bambina”

“Il burka, indumento femminile della tradizione islamica, copre tutto il corpo, non poggia sulle spalle, ma sulla testa; pesa 1,5 kg, e possiamo immaginare cosa provi chi lo indossa. Le donne vedono il mondo da una grata di tessuto all’altezza degli occhi, e per strada o al mercato non riconoscono i loro parenti. Il burka non ha braccia, e la postura di chi lo indossa è la postura di una persona sottomessa, braccia strette lungo i fianchi e busto in avanti”.

Questa una delle tante immagini forti accampate nell’animo dei presenti l’altra sera, durante la presentazione del libro “Il cecchino e la bambina”.

Autore, Franco Di Mare, inviato Rai nelle zone di guerra e giornalista televisivo.

 

“Questo libro, ha spiegato Di Mare, nasce dalla necessità di raccontare cose che non posso narrare con le immagini, come la sera nella quale in assoluto ho avuto più paura, quando un uomo parlava di come si sgozza una bambina, perché ho visto il vuoto nei suoi occhi”. “La lettura di queste pagine, ha detto Rocco Ressa, Sindaco di Palagiano, nel suo discorso introduttivo, ci fa toccare con mano il percorso del bene e del male, ci costringe a fare un percorso prima dentro e poi fuori di noi. e questo lavoro di introspezione ci mostra ciò che appare lontano, la violenza, il terrore, vivere sotto il fuoco dei bombardamenti. Ho raffrontato questa sua esperienza di autore con un nostro grande vescovo, che osò sfidare le grandi potenze con la marcia su Sarajevo, Don Tonino Bello. Anche lui, come Franco, profeta. Diceva che un giorno fiorirà il germe della non violenza attiva. Essere cittadini attivi che costruiscono percorsi di pace significa mettere da parte un pò del nostro Io per costruire un mondo solidale, e a questo ci porta leggere questo libro. Ognuno di noi può far diventare realtà l’utopia di un mondo senza violenze”. Coordinatore della serata, il preside
Giovanni Latorre che, oltre a fornire una breve biografia dell’autore, si è soffermato sui racconti del libro che più lo hanno colpito, come “il giro degli avvoltoi”, la ricerca del pezzo giornalistico da realizzare nei giorni di guerra, quando non si avevano notizie da pubblicare, e si girava tra le corsie degli ospedali, o Miss Sarajevo, la gioia dei giovani nel voler vivere la loro vita a tutti i costi, malgrado orrori e privazioni della guerra. Partendo dall’assioma che “l’uomo è quello che legge”, Maria Grazia Mellone, consigliere delegata alla Cultura e Pubblica Istruzione, ha spiegato il perché del presentare esperienze che ci aiutino a crescere, che non rappresentino l’emozione di una serata. “Nel libro, ha continuato, c’è una sorta di messaggio del silenzio, sono tante le cose scritte, ma ci sono anche tanti spazi bianchi nei quali leggere qualcosa di più profondo, che incidono nel cuore di tutti noi. Il libro è una serie di racconti, il più bello è il ‘Cecchino e la bambina’, che ha dato il titolo all’intera raccolta. Nella tempesta della guerra, si perdono i sentimenti più grandi. Di Mare lascerà un segno profondo tra noi, impariamo a stringerci in un abbraccio di solidarietà, affinchè nessuno si debba sentire solo”. Sono poi seguite le domande di alcuni alunni delle scuole presenti, le cui risposte ben si presterebbero a far da appendice al libro. “Nelle storie si legge la paura, il dolore, ma anche la speranza, ha esordito Di Mare. Quando non avevamo qualcosa da scrivere andavamo negli ospedali, mi faceva schifo, ma era l’unico modo per far si che certe storie si conoscessero. Non credo nel giornalismo americano che guarda l’esperienza degli altri con distacco, perché così non c’è differenza tra raccontare la guerra o una partita di pallone. Andare in guerra non voleva dire per me incontrare solo tragedie, ma anche apprezzare le cose semplici, il sapore del pane, dell’acqua. In guerra tutte le cose più semplici diventano complicate”. Un bambino chiede: “Perché l’uomo è così cattivo?”. “Mi dispiace per te, sorride il giornalista, ma non c’è risposta a questa domanda. In tutto il regno animale solo l’uomo usa quella crudeltà. Non è bestiale, perché le bestie non lo fanno. Gli animali salvano la vita ai loro nemici, gli uomini no. Il lupo sconfitto mostra la gola al lupo vincitore, che lo lascia andare via. Negli occhi degli assassini ho visto il demonio, la violenza vera”. Ha poi spiegato come la cultura fermi la violenza, ecco perché “le prime cose che si distruggono in guerra sono i luoghi di cultura, in cui c’è la possibilità di parlarsi, come Parlamento e biblioteche. La cultura fa da barriera a questo orrore, perché è uno strumento di conoscenza. Mostar è una bella città della Bosnia, e significa ‘custodi del ponte’. Bombardarono tutti i ponti, compreso uno molto stretto dove passava a malapena una persona, perche i ponti erano diventati il simbolo della rinascita e della speranza, per le parole di Giovanni Paolo II, che incitò a non costruire muri, ma ponti. A Sarajevo, la prima cosa che fu bombardata fu la biblioteca della città, un muro (ponte) contro l’orrore. Resistenza culturale di un popolo di fronte a chi la cultura la voleva uccidere, questa era Sarajevo, una formidabile risposta di speranza, la vittoria dell’uomo contro la barbarie”. A Don Salvatore Casamassima, le parole e il messaggio conclusivo. “Le guerre, specie quelle dimenticate, bussano alle nostre porte, e tutto quello che è orrore di guerra ci riguarda. Se vuoi costruire la pace, combatti la povertà, quella cultura che fa vedere l’altro diverso da noi”. Dicevano i vecchi in Bosnia: “Il proiettile che ti uccide non è mai il proiettile che senti sparare: se lo senti, allora è già passato”.

Giuseppe Favale