A proposito di due proposte definite “innovative”…

A proposito di due proposte definite “innovative”…

17 Aprile 2012 3 Di Life

Piuttosto che definirle innovative, le due proposte contenute nell’articolo pubblicato Giovedì 12 Aprile, a voler essere buoni sarebbe più giusto considerarle solo sciocche. Ma forse non è il caso di eccedere con l’indulgenza, atteso che gli argomenti che fanno da sfondo alle proposte sono superficiali e le conclusioni cui giunge l’articolo addirittura pericolose.

Ho già avuto modo di portare, in un primo commento all’articolo, un esempio indicante la superficialità argomentativa dello stesso; ne aggiungo qui altri che dovrebbero far rizzare i capelli.

Viene detto che “La “capacità contributiva” richiede infatti che il reddito venga valutato al netto di tutte le spese necessarie al sostentamento della famiglia, solo allora è chiaro quanto un cittadino può sopportare il contributo alla collettività.

Niente di più sbagliato. Come dovrebbero sapere anche i neofiti delle scienze economiche, se si segue questa logica, può capitare che qualcuno ritenga “sopportabile” per il cittadino di essere privato di tutto quanto ecceda le spese necessarie al sostentamento suo e della sua eventuale famiglia. Non diventa affatto più chiaro, una volta stabilito di quanto “necessita” il cittadino per il proprio sostentamento, il limite a cui fermare il prelievo fiscale; tale livello di prelievo rimane preda della discrezionalità esercitata dal governo. Non fosse così, non ci spiegheremmo come mai il livello di prelievo fiscale varia da paese a paese.

Al livello di pressione fiscale “ottimale”, allora, si giunge per altra via e tale via oltre ad essere estremamente complicata è addirittura impossibile da percorrere. Infatti, per poterla percorrere, avremmo bisogno di conoscere esattamente l’utilità marginale che ogni euro posseduto rappresenta per chi lo possiede. Ma, come è stato dimostrato sin dalla fine dell’800, detta utilità è conosciuta soltanto dal possessore stesso degli euro in questione e, inoltre, non è per niente stabile.

Per “ovviare” a questo problema i governi, il cui interesse è quello di tassare a prescindere, si sono inventati una “soluzione” che stabilisce in maniera convenzionale cosa e come è possibile togliere.

Secondo i governi è possibile togliere ad ogni contribuente una medesima quantità di utilità. Porto un esempio grossolano: se A ha un reddito di 20.000 euro, sopporta spese per 12.000 e desidera acquistare un bene che ne costa 4.000, in teoria, privandolo degli altri 4.000 euro che costituiscono il suo risparmio, non lo si sottopone a sacrificio alcuno. Allo stesso modo, se B ha per reddito 200.000 euro, spese per 120.000, risparmio pari a 80.000 e desidera acquistare un bene che ne costa 40.000, sottrargli i restanti 40.000 euro dovrebbe lasciarlo indifferente. È abbastanza evidente che se non siamo alla follia pura, ci siamo molto vicini.

Però, l’abbiamo già detto, nessuno è in grado di sapere esattamente qual è la somma che è possibile sottrarre potendo poi pretendere di aver lasciato indifferente il contribuente. Il governo allora, nella sua infinita saggezza, ha deciso che: togliendo ad A 6.000 euro e a B 60.000, è vero che li avrà resi entrambi un po’ meno felici, in quanto non potranno più acquistare il bene desiderato, ma l’avrà fatto in maniera “equa”. Nel senso che sia A che B dovranno posticipare di 6 mesi l’acquisto del bene che desiderano acquistare. Se state pensando di essere ormai entrati nel tunnel della follia completa, abbiate pazienza: vi manca ancora il meglio.

Il meglio, si fa per dire, viene raggiunto quando l’estensore dell’articolo immagina l’“enorme sospiro di sollievo” che a suo dire le imprese tireranno allorquando, i redditi “depurati” della somma necessaria al sostentamento, saranno distinti sulla base di “scaglioni di aliquote aumentati di numero per garantire la progressività”. Quali sarebbero detti scaglioni di aliquote? Lasciamolo dire all’articolista:

Fino a 10.000 euro aliquota del 10%; da 10.000 a 20.000 aliquota del x %…. Da 150.000 euro in su aliquota del 75 %.

Forse l’articolista dimentica, non sa, o finge di non sapere che già oggi alle imprese lo stato confisca circa i due terzi dei profitti e che questa è una delle ragioni per cui è considerato poco saggio (per usare un eufemismo) investire in Italia. Siamo anche solo in grado di immaginare cosa accadrebbe se tale confisca raggiungesse la soglia dei tre quarti? Con quale strumento si cercherebbe di frenare la fuga dall’Italia delle imprese che ancora resistono, nonostante tutto? Può andar bene la nazionalizzazione? E allora perché non dire chiaramente che si vuole il socialismo?

Un’altra “perla” è rappresentata dalla presunzione governativa di poter conoscere cosa il contribuente farebbe del proprio denaro, se venisse lasciato nella sua disponibilità, e addirittura di saperlo utilizzare in maniera più efficiente!

È quanto viene ripetuto anche nell’articolo, ma prima di parlarne è bene soffermarsi su un altro aspetto: il condono delle somme detenute all’estero dai cittadini italiani, la cui possibilità sembra venire respinta con sdegno. Salvo reintrodurla con un “invito” rivolto ai detentori di dette somme a denunciarle, pagando una tassazione pari al 10-15% (tasso che farebbe la felicità degli agricoltori indebitati con l’INPS, ma che a loro viene rifiutato perché si tratterebbe di “un regalo”), e con l’obbligo di farle rientrare impegnandone il 70% nell’acquisto di titoli di stato di nuova emissione.

In pratica, un articolo che promette la riduzione del debito, contiene pure una misura utile a farlo crescere. Vogliamo chiamarla incoerenza? Io avrei una definizione più precisa da avanzare, ma accontentiamoci di quella meno volgare.

Dall’accettazione acritica della “perla” di cui dicevo, derivano a catena una serie di strafalcioni logici ed economici difficili da credersi possibili ma l’articolo, bontà sua, ce li spiattella uno dopo l’altro.

Viene ipotizzata, non si sa grazie a quali calcoli, “una rapida riduzione del fatidico rapporto Debito/PIL”, che “(potrebbe scendere dal 120 al 100%)”. Mi chiedo perché proprio 100 e non invece 90, 80, 70 o addirittura 60, considerato che i numeri sembrano quelli di una lotteria. L’unica cosa che si riesce ad afferrare è la fiducia cieca di cui l’articolista sembra nutrirsi quando si tratta di affrontare l’argomento Stato. Sulla base di tale fiducia, si dice convinto che a garanzia del debito vi sarebbe il patrimonio pubblico. L’evidenza empirica, soprattutto in questi giorni, avrebbe dovuto far scoprire anche agli accecati dalla fede che l’unica “garanzia” continua ad essere la tassazione.

Quest’ultimo aspetto, però, all’autore deve essere chiaro ben più di quanto voglia far credere. Infatti, la riduzione a 100 del rapporto Debito/PIL da lui ipotizzata diventa concreta solo a una condizione: estendendo al “sommerso” il regime di tassazione (a tassi invariati) che attualmente opprime i redditi non occultabili.

Sul fatto che la condizioni immaginata dall’autore coincida con quella appena rappresentata, poi, non vi possono essere dubbi di sorta, basta leggersi il punto 5.: “Il patrimonio pubblico viene messo al sicuro, sottratto alla tentazione di quanti vorrebbero venderlo ai privati.

Un capitolo a parte meriterebbe, infine, la proposta di adozione di una tassa patrimoniale. Già dichiarare che la sua applicazione periodica “ai patrimoni più elevati potrebbe dare l’ulteriore contributo necessario alla definitiva messa in sicurezza del debito pubblico” la dice lunga sul grado di fiducia che le soluzioni proposte godono presso il loro stesso autore, se poi si considera anche che, a giustificazione della patrimoniale, si voglia utilizzare questo “argomento”: “Stock di ricchezza Nazionale: 9.000 miliardi di euro circa!; (il 10% della popolazione detiene circa la metà di questa ricchezza… Il 50% più povero ne detiene il 10% scarso!” (così come avanzato dal sig. Sbrana in un commento), si resta letteralmente senza parole.

Non escludo, prossimamente, di fornire al sig. Sbrana la dimostrazione di quanto il suo “argomento” sia privo di significato e del fatto che, in caso di “correzione” patrimoniale, i primi a rimetterci le penne sarebbero i pensionati che hanno acquistato casa dopo anni e anni di duri sacrifici.

Mimmo Forleo