Comunismo e nazismo, due storie diverse

26 Gennaio 2006 Off Di Life

A quasi vent?anni dall?89 e dalla caduta dei regimi dell?est europeo, l?assemblea parlamentare del Consiglio d?Europa ha sentito il bisogno di chiudere cos? la discussione sul ?900 – proprio come fosse un redivivo tribunale del senatore americano McCarthy.
Una scelta grave e inaccettabile, nel suo duplice versante: quello storico, in virt? del quale viene sancita la natura ?intrinsecamente criminale? del comunismo, e i suoi misfatti giudicati della stessa portata della Shoah; e quello politico, che si traduce in una delegittimazione totale dei partiti comunisti del presente, quindi nella legittimazione preventiva di ogni ?intervento internazionale? (leggi: guerra) eventualmente teso al rovesciamento dei governi (come Cuba) retti da partiti comunisti.
A completare il quadro, che comprende anche la condanna di Karl Marx (la cui opera ?porta in s? i germi del terrore e dello sterminio?, ha spiegato lo svedese Goran Lindblad), c?? anche un invito esplicito al revisionismo storico-simbolico: riscrittura dei manuali scolastici, monumenti da erigere, vie e piazze da rinominare, e via dicendo.
Insomma, non diremo che, come centosessant?anni fa, uno spettro s?aggira, di nuovo, per l?Europa.
Diciamo, piuttosto, che la paura del mutamento, di quell?altra Europa possibile che gi? vive nei movimenti e nella sinistra, ? cos? forte, che ogni mezzo per sconfiggerla diventa lecito – come le crociate, i paralleli fuorvianti, o la guerra ideologica. Il tentativo di far passare l?equivalenza comunismo=nazismo, stalinismo=hitlerismo, del resto, non ? nuovo.

Ma ci sono almeno tre ragioni che lo rendono insostenibile.

Intanto, esso implica una radicale sottovalutazione di ci? che ? stata, nella realt? storica, la tragedia dello sterminio degli ebrei (e dei rom, degli slavi, degli omosessuali e di altre minoranze): non ci sono paralleli possibili, per un genocidio di questa entit?, intensit?, intenzionalit? e – non ultimo – ?teorizzazione scientifica?.
Non stiamo accreditando, con ci?, alcuna giustificazione per la nostra parte: gli errori (e gli orrori) del regime di Stalin sono stati grandi, come le sue degenerazioni (e sono i comunisti del XXI secolo a portarsi addosso, dentro di s?, una ferita non certo rimarginata, un fallimento che pesa sulle nostre battaglie di oggi).
Stiamo sottolineando la natura eccezionale dei crimini perpetrati dal nazismo: il genocidio pianificato.
Per la prima volta, nell?era moderna, milioni di esseri umani vennero sterminati, uccisi, imprigionati, affamati, privati di ogni basilare diritto umano non per ci? che avevano fatto, non perch? erano accusati o sospettati di aver fatto qualcosa, ma per la sola colpa di esser nati – di appartenere ad una cultura, un?etnia, una religione, un credo politico, o di soffrire di un handicap fisico o mentale.
Una tale aberrazione resta un unicum tremendo.
Ma nessuno pu? sostenere che essa fu il frutto di processi degenerativi, involontari, in qualche modo incontrollati: al contrario, essa era stata teorizzata diciotto anni prima, progettata, spiegata al ?popolo? in termini molto precisi, quasi identici a quelli con cui poi sarebbe stata tradotta in pratica.
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Chi avesse voglia e tempo di leggersi, ancor oggi, il “Mein Kampf” (un libro cos? voluminoso che in realt? pochissimi lo hanno letto), vi troverebbe, n? pi? n? meno, la descrizione di ci? che il nazismo voleva fare e ha effettivamente fatto.
Come si fa a sostenere che un?ideologia nutrita di antisemitismo, bellicismo, militarismo, violenza, nazionalismo, disprezzo per i deboli, e che ha coltivato tutte queste ignobili pulsioni fino allo loro forma estrema, sia paragonabile non si dir? allo stalinismo, ma ai peggiori regimi autoritari?
Come si fa a dire che chi ha scatenato una guerra mondiale, costata decine di milioni di morti e inaudite devastazioni civili, porta la stessa responsabilit? storica di un dittatore pur sanguinario e crudele?
Quando lo si dice, si offende, prima di tutto, la memoria degli ebrei e delle vittime del nazismo.
Si fa un passo ulteriore verso il revisionismo storico. Si fa una semplificazione molto rozza e alquanto ignobile.
In verit?, il ?comunismo statuale? – meglio sarebbe dire il ?socialismo reale?, il o i regimi retti da Partiti comunisti che ci sono effettivamente stati nella storia – ? stato finora severamente sconfitto, non, per?, nel nome delle sue finalit? ideali e dei suoi obiettivi dichiarati.
Lo stalinismo ? una tragica degenerazione, non l?applicazione coerente del programma del Partito bolscevico.
L?oppressione autoritaria, il virus burocratico, la passivizzazione delle masse, la negazione della libert? politica e sindacale non appartengono, in nessun caso, alle ragioni per cui – ieri e oggi – milioni di persone diventano comuniste: la cui aspirazione, le cui speranze, sono precisamente l?opposto, una societ? in cui ?il libero sviluppo di ciascuno sia la condizione per il libero sviluppo di tutti? – e in cui non il mercato, non lo sfruttamento dell?uomo sull?uomo, non la logica d?impresa, ma la libera e solidale cooperazione delle persone costituisca il fulcro di un pi? razionale consesso civile.
Questo straordinario progetto – questo immenso sogno di liberazione – non ? riuscito finora a realizzarsi, a ?incarnarsi? nella storia, a farsi governo: ? vero, ? stato vero per gli ottanta-novant?anni che ci stanno alle spalle.
E? vero che, nella realt? storica e nella concreta dinamica dei suoi processi, ha vinto – finora – un altro ?principio?: la pratica di un potere che si separa dai suoi fini, degenera, ?tradisce? i principi che lo hanno nutrito, anzi che lo hanno trasformato in forza politica effettiva.
Cos? ? andata nel ventesimo secolo in Europa, cos? – temiamo – rischia di accadere a tutt?oggi in altri luoghi del mondo.
Per una ragione, su tutte, che gi? era lucidamente presente alla coscienza del giovane Marx: perch? la trasformazione – la liberazione – della societ? ? maledettamente lunga e difficile.
E perch? scrollarsi di dosso tutto il ?sudiciume? che la societ? borghese alimenta dentro le persone, e praticare davvero il cambiamento, richiede forse molte e molte generazioni: n? basta certo la ?presa del potere? a fare una nuova societ?, forse non ? proprio da l? che si deve incominciare.
Ma come si fa a pensare che tutto questo abbia qualcosa a che fare, o abbia addirittura una parentela organica, con il fascismo, il nazismo, l?autoritarismo?
Se cos? non fosse, del resto, il comunismo sarebbe finito in quel giorno ormai lontano – quando cadde il muro della vergogna, o quando la bandiera rossa venne ammainata dalle guglie del Cremino.
Invece no, esso continua a vivere nella coscienza e nel cuore di milioni di persone, che non hanno nostalgie, proiettano sul futuro le loro speranze, rifiutano come insopportabile e profondamente offensivo ogni paragone con le camicie brune o le Ss.
L?Europa ufficiale non lo sa, e non lo sa Goran Lindblad (lo svedese che forse farebbe meglio a guardare nella storia del suo paese, dove troverebbe la pratica dell?eugenetica praticata negli anni ?30 contro sessantamila handicappati, e la ipocrita complicit? del governo di Stoccolma con i nazisti e i loro trasporti di minerali dalla Norvegia, durante la II guerra mondiale): ma il comunismo storico ? stato e sar? tanto pi? grande del ?socialismo reale? di Bucarest, Sofia e anche Mosca.
Finch? ci sar? il capitalismo, e la sua regressione sociale e civile, finch? il profitto muover? il mondo, l?economia, i mercati, finch? ci saranno ?ingiustizie? e disuguaglianze, finch? le bestie del nazismo, del razzismo e dell?antisemitismo continueranno ad allignare, caro Lindblad e cara Europa, l? ci sar? un comunista.

26 gennaio 2006 fonte-liberazione