Disturbo Bipolare, psicopatologia da non sottovalutare. A cura di A.De Blasi.

22 Marzo 2005 Off Di Life

Il disturbo bipolare ? contraddistinto da quadri clinici caratterizzati dal succedersi di episodi affettivi maggiori di opposta polarit?, che possono coesistere come nei quadri misti.
Colpisce approssimativamente il 3-4% della popolazione adulta ed ? la sesta causa di disabilit? nel mondo. Pi? della met? dei pazienti con disturbo bipolare interrompe la terapia farmacologica con conseguenti elevate possibilit? di ricadute ed aumento del rischio di suicidio. Questa bassa compliance ? fortemente associata alla comparsa di effetti collaterali e, dunque, una riduzione di questi sarebbe di valido aiuto per il miglioramento clinico. Con i progressi ottenuti in campo farmacologico – che hanno permesso un trattamento efficace sia a breve sia a lungo termine – si ? andata affermando una concezione allargata di “spettro” dei disturbi bipolari secondo cui, accanto ai quadri tipici, si collocano quelle forme la cui polarit? espansiva si manifesta in forma attenuata (ipomania).
Nella scelta di un farmaco – qualunque condizione sia l'oggetto del trattamento – dovremmo sempre tenere a mente cinque variabili principali sintetizzabili nell'acronimo STEPS:

sicurezza
tollerabilit?
efficacia
prezzo
semplicit? d'uso
Negli Stati Uniti, ad esempio, esistono in commercio pi? di venti diverse specialit? antidepressive e intere monografie sono state scritte per rivisitare e mettere a confronto queste diverse molecole, tenendo sempre bene in mente le variabili STEPS.

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Terapia.
La terapia del disturbo bipolare si avvale oggi prevalentemente di diversi classi farmacologiche: gli agenti stabilizzatori dell'umore (ASU), gli antipsicotici atipici, i neurolettici, gli antidepressivi e le benzodiazepine, differentemente combinati tra di loro. Per quanto riguarda gli agenti stabilizzatori dell'umore, solo al litio, considerato dagli aspetti farmacologici e clinici controversi, ? stata attribuita inizialmente una propriet? stabilizzatrice dell'umore, in seguito concessa anche ad altre molecole quali la carbamazepina (CBZ) e il valproato (VPA). La gestione clinica del paziente con disturbo bipolare ? particolarmente complessa. Da un lato, infatti, si deve favorire la modificazione del tono dell'umore con il recupero della condizione di eutimia, dall'altro occorre prevenire la ciclicit? del disturbo bipolare stesso e la ricorrenza del disturbo depressivo maggiore. Dal punto di vista del trattamento psicofarmacologico, la classe degli agenti stabilizzatori dell'umore, composta da molecole di diversa struttura chimica e meccanismo d'azione multiplo, svolge adeguatamente tale funzione. Quando negli anni '80 sono state inserite, tra i farmaci indicati nel trattamento dei disturbi dell'umore, molecole quali la CBZ e il VPA, ufficialmente appartenenti alla classe degli anticonvulsivanti, si ? pensato per convenzione di definire tali farmaci, insieme al litio, stabilizzatori dell'umore di prima generazione (ASU-I). Ci si riferisce, invece, agli stabilizzatori dell'umore di seconda generazione (ASU-II), per altre tre molecole anticonvulsivanti pi? recentemente introdotte nella terapia delle fasi depressive e maniacali del disturbo bipolare: la lamotrigina (LAM), la gabapentina (GBT) e il topiramato (TOP). Il concetto iniziale di stabilizzatore dell'umore, inizialmente attribuito solamente al litio, ? stato modificato grazie all'inclusione nella classe degli ASU di molecole dal profilo farmacologico molto diverso. ? comunque necessario ricordare come un'azione profilattica sulla ciclicit? e la ricorrenza dei disturbi dell'umore, o una definita efficacia sulle due polarit? dell'umore, non sia ancora ben documentata sia per gli ASU di prima sia per quelli di seconda generazione. Esistono, comunque, diversi aspetti tuttora controversi e poco definiti: 1. in termini di efficacia nella profilassi dei disturbi bipolari e del disturbo depressivo maggiore esistono rilevanti differenze tra il litio e gli altri ASU e non ? possibile operare confronti affidabili tra il litio e gli ASU-II perch? per i secondi non sono ancora disponibili i risultati di adeguati studi clinici; 2. dalla letteratura emerge una diffusa perplessit? sull'efficacia degli ASU-II nella terapia di entrambe le polarit? dell'umore; 3. il profilo di tollerabilit? degli ASU-I e II ? il risultato di studi effettuati principalmente su pazienti epilettici, non assimilabili a quelli con disturbi del tono dell'umore, mentre per quanto riguarda la tossicit? acuta e cronica del litio disponiamo di studi dettagliati e approfonditi; 4. l'azione stabilizzatrice degli ASU-I e II non pu? essere attribuita solo ad un meccanismo antikindling, perch? per alcuni farmaci antiepilettici classici non ? mai stata documentata un'azione modulatrice del tono dell'umore, n? in senso profilattico n? sulle fasi depressive e maniacali.

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Gli agenti stabilizzatori dell? umore (ASU).
I sali di litio rappresentano il primo fondamento della psicofarmacologia. Possiamo affermare che la lunga storia della classe degli stabilizzatori dell'umore coincida quasi con quella della psicofarmacologia in generale. A partire dalle prime esperienze caratterizzate da casualit?, come spesso ? accaduto in medicina, il litio si ? sempre di pi? imposto all'attenzione dei ricercatori e dei clinici.
Nel 1949, Cade, uno psichiatra australiano, pubblic? il primo lavoro sull'efficacia dei sali di litio nell'eccitamento psicotico senza una particolare risonanza nel modo scientifico dell'epoca. In un successivo lavoro, testimoni? una specifica attivit? antimaniacale sui sintomi psicotici. Risale al 1954, ad opera di Schou, il primo studio controllato sull'efficacia antimaniacale e profilattica del litio. La relazione tra livelli plasmatici, efficacia e insorgenza di effetti tossici venne definita tra gli anni '60 e '70, grazie allo sviluppo di nuove tecniche di monitoraggio della concentrazione plasmatica.
?, invece, del 1995 un lavoro della Moncrieff, pubblicato sul British Journal of Psychiatry nel quale l'autrice sollev? forti dubbi sulla reale efficacia profilattica del litio. La maggior parte degli esperti ? attualmente d'accordo sull'utilizzo del litio come terapia di prima scelta nel trattamento profilattico del disturbo bipolare, nonostante il dibattito all'interno della comunit? scientifica sia ancora in corso.
Mentre in Europa il litio venne utilizzato dalla fine degli anni '50, negli Stati Uniti fu approvato solo nel 1970, a causa della sua elevata tossicit? cardiaca e dello scarso interesse economico dell'industria farmaceutica. Anche in Italia l'introduzione del litio ? avvenuta all'inizio degli anni '70.

La carbamazepina, sintetizzata alla fine degli anni '50 in Svizzera e descritta come farmaco dalle propriet? antiepilettiche nel 1963, solo a partire dagli anni '70 dimostr? l'efficacia clinica in pazienti epilettici e  con  dolore parossistico.
A causa delle alterazioni ematologiche conseguenti al suo uso, la FDA ne approv? la commercializzazione solo nel 1974.

Per quanto riguarda il valproato, le sue propriet? antiepilettiche vennero scoperte in modo casuale nel 1963. Verso la met? degli anni '60, gli studi condotti in Europa ne confermarono l'efficacia clinica e la sua commercializzazione come antiepilettico avvenne in Francia nel 1967 e negli Stati Uniti nel 1968. ? maturata solo negli anni '80 l'indicazione clinica di un suo impiego nelle sindromi affettive. Da allora, con il valproato, ? iniziata la grande diffusione clinica degli ASU, continuata con sperimentazioni su altre molecole come la gabapentina, la lamotrigina e il topiramato.

Se da un lato sono comunque emersi dei dubbi sulla reale efficacia clinica del litio come farmaco profilattico nei disturbi bipolari, dall'altro la diffusione degli ASU ha spostato l'attenzione dei ricercatori sull'efficacia di questi composti in acuto, piuttosto che su quella profilattica.
In caso di mancata risposta al litio, gli stabilizzatori sono diventati i farmaci di prima scelta nelle forme atipiche dello spettro bipolare, senza per? aver dimostrato un'efficacia profilattica in tutte le forme cliniche dello spettro; il litio sarebbe meno efficace nelle forme miste e in quelle a ciclicit? rapida. Negli ultimi anni le differenze sull'efficacia clinica tra litio e ASU si sono accentuate con la maggiore diffusione del concetto di spettro bipolare e di continuum maniacale.

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Il Litio
? un catione monovalente con le stesse caratteristiche del sodio e del potassio ed ? il pi? leggero degli elementi metallo-alcalini. La struttura chimica unica del litio spiega non solo alcune delle sue particolarit? farmacocinetiche, ma anche la potenziale elevata tossicit?. Il litio ? una sostanza altamente idrosolubile ed ? largamente diffusa in natura in alcune acque minerali. Esiste in compresse come carbonato e, in soluzione liquida, come citrato; esistono, infine, diverse preparazioni a rilascio prolungato (solfato 660 mg), non disponibili in Italia.
Le formulazioni a rilascio prolungato sono meglio tollerate e migliorano la compliance perch? somministrabili una sola volta al giorno, al contrario delle altre preparazioni che devono essere assunte 2-3 volte al giorno, a stomaco pieno. Le indicazioni cliniche approvate per l'utilizzo del litio sono le seguenti: stati di eccitazione e di depressione, forme maniacali e ipomaniacali, psicosi maniaco-depressive, psicosi depressive croniche, profilassi delle recidive maniacali e depressive. Farmacodinamica clinica Sono state formulate diverse ipotesi per spiegare le complesse modalit? con cui il litio modifica in acuto il tono dell'umore e, al tempo stesso, previene la ciclicit? nei pazienti bipolari e la ricorrenza degli episodi depressivi in quelli unipolari. Tali ipotesi (si parla di ipotesi perch? il preciso meccanismo d'azione del litio ? ancora sconosciuto) sono state inizialmente rivolte allo studio delle modificazioni indotte dal litio sui meccanismi di trasporto ionico del sodio e del calcio da una parte e, dall'altra, alle modificazioni di trasmissione sinaptica dei tre principali neurotrasmettitori presumibilmente coinvolti nei disturbi dell'umore (noradrenalina, dopamina e serotonina). Inoltre, sono state studiate le modificazioni recettoriali degli stessi neurotrasmettitori e, pi? di recente, ? stato dimostrato il coinvolgimento della funzione inibitoria GABAergica e di quella eccitatoria glutammatergica.
Infine, gli studi sulla trasduzione del segnale postrecettoriale e sulle modificazioni della neuroplasticit? neuronale modulata da meccanismi di trasduzione genica hanno apportato notevoli contributi alla ricerca sul meccanismo d'azione del litio e di altri ASU.
Tale approccio sembra quello pi? vicino alla realt? clinica dato che il litio agisce nella profilassi nell'arco di mesi e, quindi, solo modificazioni cerebrali a lungo termine sarebbero correlabili a tali eventi biologici. Considerando il ruolo dei canali ionici, diversi studi hanno documentato che il litio in cronico ridurrebbe l'azione della pompa Na-K ATPasi, implicata nell'ipereccitabilit? cellulare, che potrebbe essere iperfunzionante nei disturbi dell'umore; l'azione a questo livello ? riconducibile al fatto che l'efflusso di litio ? legato al controtrasporto del sodio e del potassio. Inoltre, il trattamento in cronico sembrerebbe ridurre l'accumulo intracellulare di calcio, evidenziato in pazienti bibolari. Per quanto riguarda il ruolo dei neurotrasmettitori, gli studi che hanno analizzato le modificazioni delle loro concentrazioni nei compartimenti cerebrali in rapporto alla terapia con il litio, hanno risentito eccessivamente delle ipotesi aminergiche dei disturbi dell'umore che correlavano in maniera semplicistica le forme depressive ad un deficit di noradrenalina e serotonina e quelle maniacali ad un'iperattivit? dopaminergica. Il litio, infatti, pur riducendo il turnover della dopamina, non modifica in alcun modo i recettori dopaminergici. Per quanto concerne la noradrenalina, il litio in cronico non ne modifica il turnover n? interferisce sulla funzione recettoriale. Sulla serotonina, invece, i dati sono pi? interessanti e mostrano come il litio potenzi la funzione inibitoria del recettore presinaptico 5HT1A e riduca nell'animale i recettori serotoninergici 5HT1 e 5HT2. Tali evidenze, se da un lato spiegano come il litio possa potenziare la risposta dei farmaci antidepressivi, dall'altro non possono spiegarne la sua azione stabilizzatrice a lungo termine.
Interessanti appaiono gli studi sul ruolo svolto dal litio sul sistema GABAergico e glutammatergico. ? noto, ad esempio, che i recettori GABAergici B sono sicuramente attivati in corso di trattamento cronico con litio e tali modificazioni sembrerebbero essere comuni a quasi tutti gli ASU-I e II. Ma tali modificazioni neurotrasmettitoriali hanno rilevanza solo se inserite nel contesto pi? ampio dei fenomeni di trasduzione e trascrizione del segnale. Il litio interferisce con il sistema del fosfatidilinositolo (PIP2) inibendo l'enzima inositolo, la cui riduzione non pu? essere compensata da fonti extracerebrali. L'efficacia terapeutica stabilizzatrice del litio potrebbe essere collegata a questo meccanismo di trasduzione poich? i recettori dei maggiori neurotrasmettitori sono accoppiati al turnover del PIP2. Il meccanismo di trasduzione va considerato insieme al coinvolgimento delle proteine G e del sistema protein-chinasi C. Non ci sono, inoltre, prove dirette del fatto che il litio inibisca la sintesi degli intermediari del ciclo PIP2. Il litio agisce, inoltre, in misura minore sull'adenil-ciclasi che rappresenta l'altro importante secondo messaggero, dal momento che inibisce il cAMP. Ci? serve a comprendere alcuni degli effetti collaterali gravi del litio relativi alle funzioni renale e tiroidea (azione sulla vasopressina e sul THH cAMP-dipendente), spiegando per? solo parzialmente il meccanismo di azione del litio. Evidenze pi? recenti indicano un possibile ruolo del litio nell'inibizione dell'enzima GSK-3 (Glicogen Syntase Kinase 3), implicato in numerosi processi di regolazione funzionale di fattori trascrizionali nonch? nella regolazione di enzimi e proteine strutturali. Peraltro GSK-3 sembra essere responsabile della fosforilazione della proteina Tau, a sua volta implicata nella formazione delle placche amiloidi e in altri processi di tipo degenerativo.
Alcuni dati sull'espressione genica sembrano interessanti: per i molteplici effetti sulla trascrizione, quello pi? rilevante ? rappresentato dall'aumentata capacit?, dopo trattamento cronico con litio, di binding della regione di legame AP-1 che ? una sequenza specifica di DNA cui si legano numerose proteine regolatrici, come ad esempio i c-fos. ? stato poi parallelamente dimostrato che il litio attiva fattori di trascrizione (c-fos, Jun D, CREB 9) che si legano alla sequenza AP-1.
Gli studi sulla protein-chinasi C, la cui attivit? ? inibita dal trattamento cronico con litio, con conseguente riduzione nell'espressione della proteina MARKS nell'ippocampo del ratto, sono studi molto interessanti anche per l'azione simile svolta dal valproato. ? stato anche sottolineato un probabile ruolo del litio in possibili meccanismi di tipo neuroprotettivo, oltre che dall'interazione dello ione con l'enzima GSK-3 anche dalle recenti osservazioni di un aumento dell'espressione genica della proteina Bcl-2 in colture cellulari. Questa proteina (implicata nei meccanismi del sistema Nfk-B) sembra avere un ruolo importante nei meccanismi di neuroprotezione. Un probabile correlato di tale effetto potrebbe essere rappresentato dall'aumento del volume totale di sostanza grigia evidenziato, con studi di risonanza ad elevata risoluzione, in pazienti bipolari in trattamento con litio.
La carbamazepina.
La carbamazepina (CBZ) possiede una struttura triciclica simile all'imipramina ed ? un derivato dell'iminostilbene. Ha un profilo d'azione simile a quello della fenitoina ed ? efficace nella epilessia (psicomotoria o temporale, grande male, forme miste, crisi focali) mentre ? inefficace nelle assenze. ? utilizzata nel dolore parossistico e nella nevralgia del trigemino. Il suo uso in psichiatria risale agli inizi degli anni '70 dopo i primi studi eseguiti sull'efficacia nel trattamento del disturbo bipolare. Farmacodinamica clinica Il meccanismo d'azione della CBZ nei disturbi psichiatrici non ? del tutto chiaro e non si sa se gli effetti psicotropi siano riconducibili all'azione antiepilettica. La CBZ riduce la scarica neuronale ad elevata frequenza nella maggior parte delle aree cerebrali, stabilizzando i canali del sodio dipendenti dal voltaggio. Pi? recentemente ? stata evidenziata un'attivit? sui flussi del calcio, di cui riduce l'ingresso intracellulare attraverso i recettori N-metil-D-aspartato (NMDA). Attraverso un'azione antagonista sui recettori periferici delle benzodiazepine, interferisice con la steroidogenesi delle cellule gliali, inibendo il trasporto del colesterolo nei mitocondri.
Per quanto riguarda l'azione sulla trasmissione sinaptica e postsinaptica, la CBZ interferisce con diversi sistemi neurotrasmettitoriali implicati nella fisiopatologia dei disturbi dell'umore (adenosina, dopamina, serotonina, acetilcolina, noradrenalina, glutammato, aspartato, sostanza P, GABA). Esistono evidenze che la CBZ pu? inibire i recettori a2-adrenergici e indurre up-regulation dei recettori ?-adrenergici e a1 per l'adenosina. La CBZ ha effetti soppressivi sulla stimolazione limbica, forse attraverso l'inibizione dei recettori periferici delle benzodiazepine e, per quanto riguarda il sistema dei secondi messaggeri, riduce l'attivit? dell'adenilato e guanilato ciclasi

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Il Valproato.
Il valproato ? un acido carbossilico a catena ramificata, acido dipropilacetico, molto diverso strutturalmente dagli altri antiepilettici. La sua amide, la valpromide, risulta essere pi? potente della molecola originaria, acido valproico e valproato sodico. Quest'ultimo ? disponibile in compresse gastroresistenti da 200 e 500 mg, soluzione orale e fiale per ev da 400 mg; il valproato di magnesio in compresse da 200 e 500 mg e la valpromide in compresse da 300 mg anche gastroresistenti.
Le indicazioni cliniche del valproato sono: l'epilessia (piccolo male tipo assenza, grande male, epilessia mista essenziale, epilessia localizzata resistente); la valpromide viene utilizzata anche per le turbe del carattere, coadiuvante negli stati depressivi e di eccitamento maniacale, nell'agitazione psicomotoria primaria o secondaria a stati tossici endogeni o esogeni. Farmacodinamica clinica Il complesso meccanismo d'azione del valproato si snoda su differenti livelli: neurotrasmettitori, canali ionici, meccanismi di trasduzione e traduzione. Il VPA modula i sistemi GABAergico e serotoninergico, aumenta il metabolismo del GABA, il rilascio di GABA dalle sinapsi e potenzia la trasmissione postsinaptica GABAergica, specie a livello limbico-ippocampale. Riferendoci al sistema serotoninergico si ? visto che il VPA aumenta il livello di L-triptofano libero, la sintesi di serotonina e la concentrazione di acido 5-idrossiindolacetico nel SNC. Agisce sui canali ionici voltaggio-dipendenti di potassio, sodio e calcio. Attraverso il blocco dei canali di tipo T, il VPA pu? ridurre un afflusso eccessivo di calcio. Il VPA sembra svolgere la sua funzione nel disturbo bipolare a livello intracellulare, a causa della sua attivit? sul sistema del secondo messaggero, l'inosotolo-1,4,5 trifosfato/diacilglicerolo (IP3-DAG) e sulla protein-chinasi C (PKC). Il VPA pu? indurre l'attivit? della PKC anche per via diretta, e sembra ricoprire un ruolo nella sintesi delle proteine coinvolte nei meccanismi riparatori cellulari come il MARCKS. Inoltre, avrebbe un effetto citoprotettivo rispetto allo stress ossidativo e all'apoptosi e attiverebbe la sintesi dei fattori di trascrizione AP-1.

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Gli antipsicotici atipici.
Gli antipsicotici atipici rappresentano degli agenti terapeutici utilizzati frequentemente per il trattamento della schizofrenia. Recentemente, numerose evidenze cliniche sono a favore di propriet? di stabilizzatori dell'umore nel disturbo bipolare. L'olanzapina ? indicata per il trattamento delle fasi maniacali del disturbo bipolare in Italia, in USA anche il risperidone. L'olanzapina ed il risperidone si sono dimostrati molto pi? efficaci del placebo nel trattamento della mania acuta. Quetiapina, ziprasidone e aripripazolo hanno dimostrato propriet? antimaniacali. L'aripripazolo ? risultato pi? efficace del placebo nella terapia degli episodi acuti di mania.

Conclusioni.
Negli ultimi tempi numerose evidenze sono a favore di un utilizzo di alcuni antipsicotici atipici, tra cui la quetiapina, nel trattamento degli episodi maniacali del disturbo bipolare, in monoterapia o in associazione con alcuni stabilizzatori dell'umore, quali il litio. Tale utilizzo terapeutico consentirebbe, tra l'altro, un miglioramento della compliance con aumento significativo delle remissioni e riduzione del rischio di suicidio in una malattia grave e frequente quale il disturbo bipolare.

A cura di Antonello De Blasi.
Fonte: Dr.ssa Angela Iannitelli, Universit? La Sapienza di Roma.