Le tasse servono a finanziare i servizi?

Le tasse servono a finanziare i servizi?

3 Febbraio 2012 0 Di Life

Uno dei miti messi in giro e al servizio del quale lavorano politici e organi d’informazione, a dire il vero scarsamente informati loro stessi per primi, vuole che la tassazione, o l’intero sistema tributario, servano per pagare l’ingente numero di servizi che lo Stato e tutte le sue ulteriori diramazioni garantiscono ai cittadini. Niente di più falso. Le tasse servono esclusivamente, quando va bene, a finanziare la spesa corrente e, molto più spesso, come è diventato evidente di recente, a pagare debiti pregressi, che sono il risultato di errori compiuti nel passato.

Il contribuente, quindi, non paga per dei servizi erogatigli, che tra l’altro il più delle volte non avrebbe nemmeno richiesto, ma viene considerato corresponsabile di errori fatti da altri e di cui deve assumersi, volente o nolente, l’onere del pagamento.

Per comprendere questo stato di cose, di apparente difficile comprensione, è sufficiente riflettere sulle differenze esistenti tra una qualsiasi impresa agente sul libero mercato e lo Stato.

Un’impresa, per conseguire gli scopi per cui è nata, realizzare profitti, deve rischiare un capitale e mettersi a produrre beni o servizi per i quali prevede si darà una domanda da parte dei consumatori. Per fare impresa, dunque, sono necessari due elementi: capitali e voglia di rischiarli, perché si è ragionevolmente certi della bontà della propria intuizione imprenditoriale e perché si è relativamente sicuri della risposta che daranno i consumatori.

L’impresa, in altre parole, non ha bisogno di esercitare coercizione alcuna per ottenere i capitali di cui necessità. Nel libero mercato tutto avviene liberamente. I consumatori non sono costretti ad acquistare alcunché e i fornitori di capitali sono liberi di fornirli o meno. L’impresa, così come dipende dai consumatori per misurare il grado del proprio successo o, al contrario, del proprio insuccesso, allo stesso modo dipende dai fornitori di capitali per avviare, mantenere in vita o estendere il proprio ramo di attività.

Tutto questo non si dà con lo Stato. Lo Stato, al pari dell’impresa, potrebbe fare ricorso unicamente ai fornitori di capitali per finanziare i servizi che ritiene indispensabile offrire, e talvolta lo fa. L’emissione di bond, ad esempio, risponde a questa logica, anche se non sempre. Accade infatti che, così come le imprese possano ritrovarsi a corto di capitali, perché i fornitori non giudicano profittevole prestare denaro a chi ne fa richiesta per un progetto industriale ritenuto perdente, anche lo Stato si ritrovi a dover vivere la medesima situazione.

Con lo Stato però, a differenza di quel che accade con l’impresa costretta a chiudere per mancanza di investitori, può accadere che una situazione di perenne perdita economica non comporti necessariamente la dismissione del ramo provocante la perdita. Anzi, lo Stato, nonostante la perdita economica, riesce a farsi prestare capitali quasi sempre. Perché dico “quasi sempre”? Perché basta osservare quel che accade in questi giorni, nei quali anche per lo Stato è diventato estremamente difficoltoso fare ricorso al credito.

Ma la questione più importante riguardante lo Stato è un’altra, al di là delle complicazioni contingenti riguardanti le difficoltà che attualmente lo affliggono nella richiesta di nuovi crediti. Tale questione è: Come mai lo Stato riesce ad ottenere credito anche quando versa in condizioni che porterebbero un’impresa al fallimento?

Be’, lo Stato, a differenza dell’impresa, può contare su una massa di sudditi, detti contribuenti, che è possibile tosare fiscalmente. Il vero “attivo” di ogni impresa statale (o asset, ricchezza, per utilizzare il linguaggio oggi in voga) sono le masse di tartassati. È questa la ricchezza che lo Stato utilizza come garanzia di rimborso quando chiede crediti ai fornitori di capitali. È per questa ragione che, a loro volta, i prestatori chiedono saggi d’interesse più alti quando devono prestare a Stati in evidente difficoltà. Sanno perfettamente che una nazione che cresce poco o nulla economicamente avrà grosse difficoltà nel tassare i suoi contribuenti. Potrebbe cioè darsi che il gettito derivante dalla tassazione ordinaria non basti per far fronte al pagamento dei debiti contratti.

Dunque, ricapitolando, la tassazione non serve a pagare la spesa corrente o i servizi ritenuti essenziali. Serve bensì a fare da garanzia al credito di cui lo Stato si serve per far fronte ad impegni di spesa, che spesso nulla hanno a che vedere con la spesa ordinaria e i servizi.

Qualcuno (magari convinto della bontà degli argomenti avanzati anche dal nostro Sindaco, il quale ritiene che ogni forma di spesa pubblica comporti un aumento della crescita complessiva) potrebbe qui obiettare che la spesa statale fa da volano alla crescita economica e, quindi, non fa altro che rendere più ampia la base imponibile sulla quale esercitare la pressione fiscale. In pratica, secondo tale obiezione, la spesa pubblica andrebbe considerata alla stregua di un investimento e, in ultima analisi, sarebbe detta spesa a fare da garanzia al debito statale. È questa una posizione comune al PD e ai partiti della sinistra.

Purtroppo, però, tale obiezione non tiene conto del fatto che, contrariamente a quanto ci si potrebbe aspettare se tale tale ragionamento fosse corretto, non solo la base imponibile cresce in maniera di molto inferiore a quella prevista, ma stiamo addirittura assistendo a frequenti strette fiscali testimonianti la natura assolutamente illusoria di tale ragionamento. Non si comprende cioè perché, una spesa che finora ha prodotto solo disastri, dovrebbe d’ora in avanti mettersi a produrre miracoli.

Mimmo Forleo