Note a margine del convegno “Usciamo a sinistra dalla crisi”
5 Dicembre 2010Chiaramente, quando si è ospiti in casa d’altri il primo dovere è quello di non risultare invadenti e tantomeno monopolizzatori del tempo altrui. Con queste premesse ho fatto in modo che il mio intervento non superasse la soglia dei 5min. che mi ero dato e, perché la soglia fosse rispettata, ho dovuto trattare non più di due argomenti tra i tanti che le relazioni precedenti potevano suggerire.
Di cosa ho parlato? Ovviamente di economia e, dandone solo fugace accenno, di moralità e politica.
Nel solo ambito economico, tanti sono stati i possibili temi di discussione suggeriti dai relatori che mi hanno preceduto ma, per forza di cose, ho dovuto effettuare una cernita e scegliere tra quelli che, al momento, mi sono parsi più bisognevoli di diversa interpretazione.
Ne ho scelti due, trattati da due diversi relatori, che sembravano tenersi bene uno con l’altro e che, presentati alla maniera in cui sono stati trattati, sembravano rendere irresistibili le ragioni di chi sostiene che dall’attuale crisi si possa uscire solo tornando a praticare politiche economiche di stampo keynesiano.
Il primo tema, ripreso letteralmente dal documento comune recante la firma del Partito Socialista Francese e della SPD tedesca, a sua volta debitore nei confronti della “Lettera degli economisti” di cui si è dato già conto su questo sito, è quello che ha per argomento una “evidenza” che sembra inoppugnabile a chi se ne fa promotore: l’attuale stato di crisi dipenderebbe dal fatto che si sono drammaticamente ridotti i redditi delle classi medie e, di conseguenza, sarebbe venuta meno la loro capacità d’acquisto. Tale diminuita capacità sarebbe dapprima stata mascherata consentendo un massiccio ricorso al credito da parte dei privati, ma sarebbe poi emersa in tutta la sua drammaticità nel momento in cui le speculazioni finanziarie (rese possibili dall’enorme ricorso al credito) hanno superato per quantità gli investimenti produttivi (detto così mi rendo conto che il concetto è di difficile comprensione ma, abbiate pazienza, rischierei di rendere lunghissimo l’articolo se dovessi spiegare tutto per filo e per segno).
Ho già spiegato altrove perché tale argomento mi sembra pessimo per dar conto della crisi, ma è forse bene ripeterlo ancora.
La crisi attuale è mondiale e, nello stesso tempo, è una crisi che coinvolge principalmente le economie occidentali (non tutte, ve ne sono diverse che la crisi la stanno reggendo bene e che anzi mostrano indici di crescita del loro PIL più che interessanti: quasi tutti i Paesi del Nord Europa, Germania e Svezia in particolare).
Cosa significa questo? Significa che vi sono stati alcuni Paesi che effettivamente hanno utilizzato ingenti quantità di moneta presa in prestito per finanziare consumi che non potevano permettersi (si pensi all’impennata subita negli Usa e in Spagna dal mercato immobiliare). Questo ha comportato che si innescasse una spirale inflazionistica riguardante alcuni settori dell’economia di quei paesi che, a sua volta, ha consentito l’apparire di azioni speculative al cui fascino quasi nessuno si è sottratto (in pochissimi anni si è assistito al seguente fenomeno: attraverso una vorticosa attività di compravendita immobiliare, percettori di redditi mensili ammontanti neppure a 3.000 dollari si sono ritrovati possessori di case del “valore” di oltre 500.000 dollari!). Ahimè, il valore delle case era puramente nominale e tutto fondato sulle attese speculative, quando i mercati se ne sono resi conto e sono divenuti pertanto più prudenti, il danno era già fatto e quelle abitazioni hanno visto crollare il loro valore al livello di quello “reale”. Di colpo, milioni di persone hanno scoperto di essersi intestati dei beni acquistati a cifre spropositate.
A chi dare oggi la colpa di quel che è successo? Molti politici, tra cui il nostro Tremonti, vogliono addebitarla ai “cattivi speculatori finanziari”, ma sono credibili quando l’affermano?
A mio parere, no. La colpa è stata proprio di quei politici che hanno non solo consentito l’avvitarsi della spirale inflazionistica, ma l’hanno addirittura principiata imponendo alle banche la concessione di mutui “allo scoperto”. Consentendo cioè, facendosene garanti, che le banche concedessero mutui di gran lunga esorbitanti il reddito detenuto dai richiedenti.
Come si può notare, diventa perfettamente inutile invocare grafici che starebbero a dimostrare di quanto la classe media si sarebbe “impoverita” negli ultimi decenni. Anche considerando ipotetici grafici che dovessero lasciare immutato il rapporto che esisteva qualche decennio fa tra il reddito dei più ricchi e quello dei meno ricchi, oggi ci ritroveremmo comunque con una classe media alle prese col problema di non riuscire a pagare le spese folli fatte nel passato.
La conseguenza delle insensate politiche economiche messe in atto dai politici è stata quella di “dirottare” il ricorso al credito dagli investimenti verso i più facili lidi della speculazione.
A capire benissimo quanto stava per accadere sono stati i cosiddetti “Paesi emergenti”: Cina, India e via dicendo… Questi paesi hanno negli stessi anni in cui l’Occidente si dava alle spese folli, da una parte incrementato l’uso del risparmio in programmi di sviluppo dei loro settori manifatturieri e, dall’altra, finanziato con i forti guadagni ottenuti in quei settori l’uso dissennato del credito che gli occidentali avevano intrapreso!
Oggi, e qui veniamo al secondo tema del convegno, ad alcuni viene facile sostenere che alla base del successo economico dei paesi emergenti vi sarebbe la loro “svolta a sinistra” in politica. Niente di più sbagliato!
I paesi sudamericani, portati come campioni di tali successi, non mi sembra che possano essere ancora indicati come leader mondiali del settore manifatturiero, anzi.
Il loro successo è quasi interamente dovuto a un’accorta politica di alleanze in seno al WTO (l’organismo che si occupa della liberalizzazione dei commerci: in una parola, di globalizzazione) proprio con i paesi dal settore manifatturiero in forte espansione, che ha loro consentito di avere finalmente accesso ai mercati dell’ortofrutta occidentali fino a non molto tempo fa a loro preclusi.
In sede convegnistica, pur di “smentire” tali banali verità, si è assistito al tentativo di riscrivere la storia recente: uno dei relatori ha fatto osservare che i successi economici di India e Brasile, ad esempio, sarebbero da far risalire addirittura agli anni… 60!
E’ sufficiente ricorrere a Wikipedia o a una qualsiasi altra ricerca in rete per dimostrare che il relatore non sapeva di cosa stesse parlando: Brasile, India.
In conclusione, credo che non vi sia possibilità alcuna di uscire dall’attuale crisi senza un propedeutica schiarita di idee riguardante i motivi che l’hanno originata e, tantomeno, penso che la ricetta vincente possa venire da una sinistra che si dibatte in una crisi forse ben più profonda: la sua.
Mimmo Forleo