Qualche riflessione sui Piani per il commercio

Qualche riflessione sui Piani per il commercio

26 Febbraio 2012 6 Di Life

Il mio articolo sulle inesattezze profuse a tutto spiano da Ressa e riguardanti il nuovo Piano per il commercio, ha fatto emergere la confusione che regna sovrana in tema di economia, laddove si guardi alla generalità dei discorsi fatti, e di commercio, che riguarda più specificatamente alcune prese di posizione circa il Piano. Apparentemente vi sarebbe chi si dice contrario, Life, e chi si dice a favore, Giovanni. A ben vedere, però, si dicono entrambi sfavorevoli a tale Piano. Vediamo perché.

Ressa, nel mare di inesattezze in cui la lascia affogare, una cosa giusta l’ha detta: la liberalizzazione del commercio, consentita dalla più ampia disponibilità di aree ove esercitarlo resa possibile dal Piano, è sempre positiva. Ogni misura atta a stimolare la concorrenza dell’offerta è sempre buona per i consumatori. Il consumatore che, come Life, si oppone all’apertura di nuove strutture non fa altro che lavorare contro se stesso. Parimenti fa il consumatore che non si oppone a tali nuove strutture, come Giovanni, ma vorrebbe i prezzi imbrigliati dalla longa manus politica.

La posizione assunta da Life è inoltre abbastanza singolare in quanto dapprima dice di temere che i nuovi supermercati possano far chiudere i vecchi esercizi. Segno evidente che ne teme la capacità di praticare prezzi più bassi. Poi afferma che gli esercizi già esistenti a Palagiano sarebbero più competitivi dei vari Auchan e Ipercoop presenti altrove. Se questo è vero, non vedo quale motivo Life possa avere di dirsi preoccupato dalla nascita di attività commerciali aventi dimensioni più grandi.

Ma il giudizio di Life, il primo, è rappresentativo dello stato d’animo comune a tutti i piccoli esercenti e trova largo seguito anche tra la popolazione; per questo occorre tenerlo in debita considerazione e attrezzarsi per smontarlo.

I dati ci dicono che la grande e media distribuzione lavora per tenere considerevolmente più basso il costo della vita. Senza andare a scomodare gli USA, paesi come la Francia o la Germania sono lì a dimostrare da anni che la diffusione capillare della grande distribuzione consente al consumatore risparmi che sono dell’ordine di 4 o 5 punti percentuali, se non ricordo male. Che ne facciamo di questi punti percentuali, vi rinunciamo? E perché? Per favorire la condizione di oggettivo privilegio di cui godono i piccoli esercenti?

Il punto è proprio questo. Si chiama privilegio e ne godono tutti coloro la cui attività dipende da licenze concesse da un organo di “controllo” governativo. Verranno a dirvi che detti controlli sono importanti per la vostra salute, per mettere un freno alla “mano selvaggia” del mercato; nessuno però verrà a dirvi come stanno realmente le cose: i controlli servono al governo per controllare l’economia, ai politici per avere quel potere d’intervento che rende la professione politica tanto ambita e ai “controllati” per escludere tutti gli altri dal proprio campo di attività, considerato ormai alla stregua di una proprietà personale.

Lasciando da parte, per motivi di spazio, la prima e la terza “verità”, concentriamoci su quella che maggiormente interessa, atteso che stiamo parlando di Piani per il commercio: il potere d’intervento proprio della politica.

La politica è solitamente insofferente verso qualsiasi forma di liberalizzazione, è costretta ad esserlo. Il giorno in cui i cittadini dovessero capire che le istituzioni naturali come il mercato o il denaro nascono da sole e sono capaci di autogovernarsi meglio di quanto potrebbe governarle un organo deputato a governarle, quel giorno segnerebbe la morte della politica. Il vero politico dunque, quello che può davvero dire di lavorare per il bene di tutti, è colui che lavora perché la politica muoia. Tutti gli altri sono perfettamente integrati in quel meccanismo risalente alla notte dei tempi che prevede si possa vivere alle spalle degli altri. Traggono cospicui vantaggi da questo loro integrarsi, ma ciò non li mette al riparo dalle incoerenze che sono tipiche del ruolo che assolvono. Vediamone una.

Tramite il potere d’intervento che si è attribuito, la politica può scegliere di ampliare o meno l’estensione delle aree in cui è possibile praticare il commercio. Per le cose prima dette a favore delle liberalizzazioni, dovremmo applaudire ogni qualvolta la politica decide che quelle aree vanno ampliate. Ma, c’è un “ma”. La parola “piano” non deve mai farci dimenticare che quando la politica sembra rinunciare a qualcosa lo fa perché sa di poter recuperare altrove, e con gli interessi.

In prima battuta potremmo dire che sotto il profilo del consenso elettorale, il politico che sceglie di ampliare le aree destinate al commercio, sta mettendo a repentaglio il consenso che può venirgli dai vecchi commercianti e spera di compensarlo con quello che potrebbe venirgli dai nuovi e dai loro potenziali dipendenti. Non avremmo comunque centrato il punto focale del problema.

Il politico si lascia trascinare in questo gioco di compensazioni elettorali più o meno probabili perché sa con certezza che potrà esercitare ed estendere il suo potere d’intervento, attraverso il Piano, anche in un altro campo: quello dei suoli da destinare all’espansione del commercio.

Il suo potere d’intervento ne uscirà dunque raddoppiato. Sarà liberalizzatore quando deciderà di ampliare la superficie da destinare a nuove attività commerciali, sarà oligopolista quando dovrà decidere in quali suoli si darà tale ampliamento. A conti fatti, il politico ne esce comunque unico vero vincitore. Raddoppierà il proprio potere d’intervento in un campo, quello dell’economia, che potrebbe benissimo fare da sé.

A questo discorso, che vado a chiudere per non stancare il lettore, si potrebbero benissimo aggiungere una miriade di considerazioni. Esse probabilmente emergeranno in corso di discussione, mi limito a indicarne un paio: quella riguardante l’opportunità di rinviare l’approvazione del Piano alla fine di un mandato sindacale, con le implicazioni di carattere elettoralistico che ne conseguono; quella sulla necessità di ripensare tali strumenti di programmazione al fine di evitare il formarsi di oligopoli decisi dal politico. In tal senso sarebbe sufficiente stabilire che le aree di espansione possono essere diverse e non strettamente legate in termini di superficie complessiva alla superficie di espansione approvata. Al posto delle due aree attualmente previste dal nostro Piano, ad esempio, la legge dovrebbe consentire di averne anche dieci, volendo; sarebbe poi l’imprenditore a decidere dove far nascere la sua struttura. Se ne avvantaggerebbe l’imprenditore in termini di prezzo pagato per il suolo e, indirettamente, anche i consumatori che non sarebbero costretti a ripagare l’imprenditore del prezzo fuori mercato con cui si è aggiudicato l’unico suolo disponibile.

Mimmo Forleo