«Il cancro, l’uomo e la scienza: Le ragioni dello Spirito…e quelle del corpo»
27 Gennaio 2011“L’associazione Echèo si propone di dare voce a chi voce non ne ha, costituendo l’anello mancante tra le persone malate e le istituzioni. Qualunque malattia crea nella persona una situazione di disagio e di sofferenza, e quando poi la patologia è particolarmente grave, la sofferenza che ne deriva è tale da impedirti di accettare la malattia stessa, e di convivere con essa”. Con queste parole, la Prof.ssa Antonia Borrello, presidente dell’Associazione Onlus Echèo di Palagiano, ha aperto il convegno «Il cancro, l’uomo e la scienza: Le ragioni dello Spirito…e quelle del corpo».
L’iniziativa, oltre a perseguire lo scopo di affrontare il tema della sofferenza dal punto di vista spirituale, aveva anche l’obiettivo di trattare la questione oncologica dal punto di vista scientifico e psicologico, nel tentativo di affrontare l’annoso problema del rapporto medico-paziente, fornendo nel contempo un quadro sufficientemente esaustivo in materia di prevenzione. Il Dott. Antonio Rinaldi, oncologo del reparto di oncologia di Castellaneta, ha spiegato le origini dell’oncologia, inglobata nella medicina interna, e sviluppatasi come branca a sé negli anni ’70. “Il cancro non è una malattia nuova, ha proseguito, sono stati trovati dei papiri del 200 a. C. che ne parlavano. Il nome carcinoma deriva da un libro di Ippocrate, scritto nel 460 a. C.”. Dopo aver evidenziato come la ricerca non sia solo riferita agli studi dell’evoluzione della malattia, ma riguarda anche per i rapporti con i pazienti, ha parlato della spesa per la prevenzione e terapia del cancro, che è elevatissima, rappresentando il 3 – 6% del Prodotto Nazionale Lordo nei Paesi civili. Con riferimento al nuovo ospedale di Castellaneta, ha detto che nacque, “con tante speranze, per dare dignità a chi lavorava e a chi stava lottando con la malattia, ma la strada è ancora lunga”. “La sofferenza di un malato di cancro è una sofferenza totale, è poi intervenuta la Dott.ssa Domenica Caforio, psicologa presso lo stesso reparto, perché intacca tutte le dimensioni della sua personalità, a partire dall’aspetto fisico, coinvolgendo la sfera psicologica ed emotiva, sociale e spirituale della persona. Si parla di un modello terapeutico di tipo biopsicosociale, che guarda la malattia, ma anche gli aspetti relazionali della persona, quelli familiari, con la collettività di appartenenza, promuovendo le forze positive della persona, per fronteggiare la malattia, ma anche per sviluppare la crescita post-traumatica”. Sul tema dibattuto se sia giusto o meno rendere noto al paziente il suo stato di salute, ha detto che “è giusto che il paziente sappia cosa gli stia succedendo, a cosa va incontro, perché in questo modo, sebbene inizialmente la sua reazione sarà devastante, ha poi modo di sviluppare dentro di sé una forza che viene solo dalla fiducia che svilupperà nei confronti dei sanitari, e nello stesso tempo rafforzerà dentro di sé la propria autostima, che lo aiuterà ad esercitare un controllo sulla malattia. Questo rende più efficace la cura farmacologica”. Sui rapporti tra sofferenza e fede ha infine relazionato Mons. Alessandro Greco, Direttore dell’Istituto Superiore di Religione “Guardini” di Taranto. Riferendosi ad una lettera apostolica di Giovanni Paolo II, ha sostenuto che “la sofferenza riguarda ogni creatura umana, e bisogna distinguere tra malattia e sofferenza. La malattia fa riferimento al corpo, la sofferenza invece investe tutta la persona umana. Il male è la carenza del bene, per cui la persona soffre quando manca qualcosa. La persona si chiede: perché c’è la sofferenza, perché si deve soffrire, cosa fa questo Dio per noi. La risposta alla sofferenza nell’uomo è in Cristo crocifisso. Gesù mette in evidenza la necessità della sua passione e della sua morte. Se il chicco di grano caduto in terra non muore, rimane solo, se invece muore produce molto frutto. Questo chicco di grano di cui Gesù parla è la sua stessa persona. Gesù va verso Gerusalemme per indicare la strada della Luce, l’orizzonte della Resurrezione, per cui la meta ultima del credente non è la morte, ma la vita, la gioia della Resurrezione. Il Cristo glorioso è quello morto sulla croce, non quello degli applausi. Il Calvario è l’allegria perfetta, perché è la via della Speranza”. Al dubbio se sia lecito o no lamentarsi, ha infine detto che “anche Gesù sulla croce si lamentava: lamentarsi del dolore non offende la Santità di Cristo”.
Giuseppe Favale