Il realismo che manca alla sinistra

3 Ottobre 2010 0 Di Life

reiterazione di un errore: immaginare che tutti i problemi nei quali ci dibattiamo siano dovuti a Berlusconi e al berlusconismo.
Basta scorrere i due documenti apparsi all’interno del PD in questi giorni, quello dei “giovani turchi” dalemiani e quello dei veltroniani, per convincersi di ciò: entrambi, non per caso, avviano il proprio discorso partendo proprio da Berlusconi e dal berlusconismo.
Occorre quindi, in questo interrogarsi sulla storia degli ultimi vent’anni, comprendere da una parte la reale portata del berlusconismo e, dall’altra, introdurre nella discussione una nuova ipotesi e verificarla: il centrosinistra è conservatore? Lo è per davvero o si tratta di un’impressione?

Berlusconi e il berlusconismo

Silvio Berlusconi ha goduto, e in qualche modo continua a godere, nel corso degli ultimi sedici anni di un largo consenso, trasversale all’intera società. Contrariamente a quanto si vuol far passare, il suo consenso non è stato né territoriale, limitato cioè al solo Nord, né legato ad un singolo, grande quanto si vuole, gruppo sociale e neppure “corporativo”. Il corporativismo, che pure vi è stato e che è da intendersi nella classica accezione comportante la conservazione dei “privilegi”, è solo un aspetto secondario nella strategia del consenso berlusconiano. L’aspetto principale di quella strategia è costituito dall’aver saputo intercettare il desiderio di cambiamento che percorreva, e continua a percorrere, l’intera società; la società, a differenza della politica, sembra aver capito che l’Italia ha i giorni contati se persiste nel modello di conservazione del già dato.

Senza nulla voler anticipare, mi pare che una dimostrazione a posteriori dell’esattezza dell’assunto riguardante il berlusconismo, sia data dalla scarsa appetibilità che il centrosinistra in generale rappresenta per gli italiani. Tale scarsa appetibilità diviene drammatica se si pensa che anche oggi, nel momento di massima crisi del berlusconismo, il PD vede scemare ulteriormente il proprio consenso. E, se il PD sta male, non è che il resto della sinistra si senta meglio; per parafrasare Woody Allen.

A Veltroni bisogna dare atto di aver sollevato pubblicamente una questione sulla quale l’attuale dirigenza del PD preferirebbe che si nicchiasse, ma lo stesso Veltroni trae dalla questione conclusioni sbagliate. Oggi il paese non si aspetta nuovi arzigogolamenti teorici, si “accontenta” che qualcuno metta davvero mano alle riforme promesse e mai realizzate.

La sinistra conservatrice

Un’altra avvisaglia, circa il fatto che il consenso berlusconiano è cosa completamente diversa da come la si dipinge nel centrosinistra, era stata costituita dalla scomparsa dalla scena politica della sinistra cosiddetta massimalista. A scomparire non era stato il massimalismo in sé, ché qualche nostalgico a corto di intelligenza politica lo troverà sempre, ma la convinzione che possano ancora trovare accoglienza le idee concernenti una massiccia presenza imprenditoriale dello stato, la persistenza di “diritti” dei quali il tempo si è preoccupato di dimostrare l’insostenibilità (a meno che la sinistra non voglia sostituirsi nelle politiche di imperialismo economico che hanno caratterizzato il liberalismo conservatore del ‘900, e a danno delle economie emergenti un tempo “terzomondiali”), la difesa degli interessi corporativi di quanti fanno parte di quello che ritiene essere il suo “bacino” elettorale.

Dovrebbe bastare, per dare il senso del conservatorismo che attanaglia la sinistra, citare quanto già nel 2007 scrivevano Giavazzi e Alesina ne “Il liberismo è di sinistra” (il Saggiatore, Milano):

“… va chiarito che vi è una differenza fondamentale tra disuguaglianza e povertà, una differenza spesso trascurata, a volte strategicamente. La povertà si può ridurre e ciononostante la disuguaglianza può salire, cosa che infatti spesso accade. I «poveri» di oggi nei paesi Ocse sono molto più ricchi di quanto non lo fossero un paio di decenni orsono (e ciò vale anche per la stragrande maggioranza dei cittadini di paesi in via di sviluppo nonostante la retorica anitcapitalistica). Questo non significa che la disuguaglianza sia diminuita, anzi in certi paesi è aumentata. Ma il vero nemico è la povertà, sebbene la disuguaglianza, quando diventa eccessiva, sia socialmente controproducente e moralmente da molti non accettabile.” (pag. 23)

“Il welfare italiano […] È troppo sbilanciato a favore delle pensioni e protegge poco e male chi veramente ne ha bisogno. Le pensioni assorbono il 61,3 per cento del totale della spesa pubblica per il welfare. Se alle pensioni aggiungiamo la spesa previdenziale per malattia e salute (cioè interventi di sostegno motivati dalle condizioni di salute del cittadino, non la spesa sanitaria) si raggiunge il 93,3 per cento del welfare. Per tutti gli altri interventi (sostegno ai poveri, alle famiglie, ai disoccupati) rimane solo il 6,7 per cento. Alle famiglie bisognose va il 4,4 per cento del welfare, circa la metà della media europea, 7,8 per cento. Ai sussidi per la disoccupazione il 2 per cento, contro il 6,5 per cento della media europea. In Italia la percentuale di lavoratori che hanno accesso a qualche forma di sussidio quando perdono il lavoro è solo il 28 per cento del totale.” (pagg. 24-25)

Serve aggiungere altro per comprendere due cose: che la scomparsa di certa sinistra era inevitabile e che la tanto sbandierata “solidarietà” è un concetto buono, per la sinistra, solo quando non colpisce gli interessi propri e della classe di privilegiati che in essa si riconosce?

La crisi che stiamo vivendo sembra aver dato nuovo respiro alla sinistra. Molto strumentalmente, la sinistra sta facendo il tentativo di scaricarne la responsabilità sul “liberismo”. Ma io, soprattutto in Italia, non vedo affatto le torme di liberisti che avrebbero provocato il disastro, anzi. Se qualcuno tra i lettori pensa di avere le prove che io non vedo, è pregato vivamente di farmi un fischio!

Quanto tempo pensate che potrà durare questo apparente ritorno in vita di chi è pronto solo per le esequie, considerato che è interamente costruito sulla distorsione mendace dei fatti?

Il PD e il suo disastro annunciato

Un discorso a parte lo merita il PD. Un partito nato per prendere definitivamente le distanze da certa sinistra, e per provare a crearne una nuova che non cadesse preda dei troppi voli pindarici del passato (voli creati ad arte per frodare i gonzi), oggi è tornato a interrogarsi sull’opportunità o meno di allearsi con un cadavere!

Ancora una volta devo riconoscere che Veltroni imposta il discorso in maniera efficace, ma torna a trarre conclusioni errate.

Quando Veltroni afferma che il dato sul quale riflettere è quello riguardante il calo dei consensi al PD, passato in due anni dal 34% al 24,6%, dice effettivamente qualcosa di sensato. Ma si è mai chiesto Veltroni cosa rappresentava quel 34% di due anni fa appena?

Fui proprio io a scrivere, all’indomani delle Politiche del 2008, che quel voto al PD altro non rappresentava che una apertura di credito da parte di quanti, stanchi della sinistra e di Berlusconi, si auguravano l’apparire di una forza politica capace di sintonizzarsi finalmente con il sentire comune: basta con i bei discorsi e le promesse, servono riforme e pure rapidamente!

Per individuare le riforme necessarie non era necessario interpellare alcun mago, sarebbe bastato guardarsi intorno e capire che le uniche ricette ad aver dimostrato di funzionare erano quelle che a sinistra si bollano sprezzantemente col termine “liberista”.

Un dato per tutti, ripreso sempre da Giavazzi e Alesina:

“Tra il 1980 e il 1995 nell’Unione europea (dei 15 paesi) sono stati creati 12 milioni di posti di lavoro; nello stesso periodo gli Stati Uniti, un paese di dimensioni analoghe, ne hanno creati quasi 26 milioni. Tuttavia, nel decennio successivo, quando in Europa è stata introdotta qualche timida liberalizzazione, come la legge Biagi in Italia, il numero di nuovi posti di lavoro è salito a 18 milioni, esattamente lo stesso dei nuovi posti creati negli Usa nel medesimo decennio.”

Buona riflessione.

Mimmo Forleo