Riflessioni sulla “rivolta” per la riforma dell’Università.
5 Dicembre 2010La riforma universitaria approvata in Parlamento ha scatenato, in molti ma evidentemente non in tutti, forti passioni al punto da spingere nelle piazze decine di migliai di giovani.
Personalmente condivido sino in fondo l’opinione espressa da Giavazzi sul Corriere della Sera secondo cui, sia pure proponendone dei miglioramenti, la riforma in questione andrebbe difesa piuttosto che attaccata.
Purtroppo, però, scopriamo che l’Italia è un Paese profondamente conservatore, impaurito da ogni forma di passo in avanti e ferocemente arroccato su posizioni che hanno più il sapore dell’ideologismo fine a se stesso che della razionalità con cui vanno misurati gli avvenimenti.
Lo è stato in occasione delle riforme di stampo liberale proposte dall’allora Ministro Bersani, con il centro-destra sulle barricate, lo è ancor oggi con la riforma proposta dal Ministro Gelmini, con il centro-sinistra sceso dalle poltrone governative e salito sui tetti.
Il dato sconfortante, secondo chi scrive, risulta essere rappresentato dal fatto che un’intera popolazione non riesca a capire quanto in declino possa essere un Paese che, in ogni settore, non riesce a modernizzarsi.
Come è possibile gridare al mantenimento dell’attuale stato dell’Università?
E’ forse un motivo di vanto leggere le graduatorie dei primi 200 Atenei al mondo e non trovarvi nessun Ateneo italiano?
E’ forse un motivo di vanto leggere spesso e volentieri di scandali, anche a carattere giudiziario, riguardanti il sistema universitario italiano?
Ed ancora, è forse motivo di vanto il sapere che da anni non si riesca ad organizzare un concorso di accesso alla Facoltà di Medicina che sia apertamente trasparente e regolare?
Per non parlare, poi, del sistema con cui vengono assegnate le borse di ricerca!
Lo sa chiunque abbia mai frequentato un’aula universitaria che, nella sede in cui si sono condotti gli studi, vi è possibilità di divenire ricercatore solo e soltanto se si è pupilli dell’Ordinario di Cattedra.
Forse, anziché dare voce indiscriminata a quanti in questi giorni hanno manifestato dissenso, si sarebbe dovuto dare voce a tutti quei ragazzi costretti a trasferte lunghissime per poter partecipare a quei, pochi, concorsi da ricercatore liberi da condizionamenti.
Forse, anziché perdersi dietro le dichiarazioni dogmatiche di politici che nemmeno sanno cosa è l’Università, si sarebbe dovuto dare voce a quanti sono stati costretti ad emigrare all’estero per poter proseguire in modo degno il proprio percorso di formazione umana e professionale.
Ancora, tra le voci rimaste mute vi è quella dei ragazzi che hanno abbandonato l’Università a causa delle inefficienze di un sistema feudale dove il tuo destino, purtroppo, risulta essere appeso all’umore ed alla volontà di chi in mano ha il potere di metterti nel limbo.
Ma di tutto questo, negli interventi di chi ha criticato la riforma, non vi è stata traccia!
Vendola, ad esempio, anziché parlare di “gestione cilena della piazza” (avrebbero dovuto forse consentire l’assalto al Parlamento in sostituzione dei forni di Manzoniana memoria?) avrebbe potuto spiegarci se per lui è sensato considerare allo stesso modo il ricercatore di Medicina, Fisica, Ingegneria o di una qualunque altra facoltà scientifica, ponendolo sullo stesso piano, in termini economico-contrattuali, del ricercatore di Giurisprudenza. (Giusto per rimanere nell’ambito di una facoltà a me molto cara!).
Eppure lo sanno tutti che da tempo, molto tempo, forse troppo, la culla della produzione scientifica europea in campo del pensiero giuridico è la Germania e che i “tassi di produttività” dei ricercatori “giuridici” italiani sono ai minimi termini.
Quello che dispiace di più, da tesserato del PD, è il fatto che questo benedetto Partito anziché iniziare a confrontarsi con posizioni moderne, quali quelle espresse da Giavazzi o Ichino, continui ad arroccarsi su posizioni amorfe, difensive di un blocco sociale che ha conservato le sue connotazioni soltanto nella descrizione dei libri di storia.
L’affannosa rincorsa a posizioni antiche altro non sta facendo che condannare questo Partito ad una posizione di subalternità rispetto a chiunque gli si affianchi, si chiami Vendola, Di Pietro o Casini.
E’ un vero peccato, perché persone come Ichino e Giavazzi, ma anche come lo stesso Bersani come Ministro, militano dalla nostra parte e non del centro-destra.
Sarebbe sufficiente tagliare col passato, guardando al futuro con gli occhi dell’oggi, per proporre posizioni nuove, in grado di rappresentare una speranza vera per la popolazione italiana.
Solo in questo modo si potrebbe dimostrare che la Gelmini, politicamente, non è un fulmine di guerra.
Al contrario, sino a quando si continuerà a guardare indietro consentendo agli altri di fare le riforme, si potrà solo continuare ad appellarsi agli “scandali” e “scandaletti o scaldaletti” che la cronaca gossippara ci propone.
La Politica, però, non merita questo e soprattutto non lo merita la popolazione che si avrà l’onore e l’onere di governare.
Voglio concludere con le parole di Einaudi,presidente della Repubblica dal 1948 al 1955.
«Del valore dei laureati unico giudice è il cliente; questi sia libero di rivolgersi, se a lui così piaccia, al geometra invece che all’ingegnere, e libero di fare meno di ambedue se i loro servigi non gli paiano di valore uguale alle tariffe scritte in decreti che creano solo monopoli e privilegi».
(Luigi Einaudi, La libertà della scuola, 1953).
E’ l’incipit dell’articolo di Giavazzi, di cui consiglio la lettura.
http://www.corriere.it/editoriali/10_novembre_30/giavazzi-riforma-universita_d4d29fcc-fc4a-11df-8fb3-00144f02aabc.shtml
Altro articolo che aiuta a comprendere il “taglio politico” delle proteste è quello apparso sulla Stampa a firma di Irene Tinagli.
http://www.lastampa.it/_web/cmstp/tmplRubriche/editoriali/gEditoriali.asp?ID_blog=25&ID_articolo=8153&ID_sezione&sezione
Un saluto
Donato Piccoli