Una “lezione” dalla Cina su come funziona l’economia monetaria
27 Gennaio 2011Anche se sono ancora in pochi a rendersene conto, sulla Cina sta per abbattersi una tempesta monetaria che potrebbe scatenare un effetto simile a quelli devastanti che il resto del mondo ha cominciato a scoprire dal 2008.
La divisa cinese, finora tenuta artificialmente su livelli ben al di sotto del suo reale valore di scambio, potrebbe da un momento all’altro sfuggire di mano ai burocrati della pianificazione e riprendere il suo corso naturale.
Per ora, i saccenti economisti “di sinistra”, a loro dire bravissimi nel diagnosticare le cause della recente crisi, se ne stanno zitti. Ma sono pronto a scommettere che, a disastro avvenuto, saranno i primi a dire “Noi l’avevamo previsto”. Come no!
Riassumo brevemente per chi non è pratico di cose economiche quanto sta accadendo.
La Cina è oggi il maggior esportatore mondiale di manifatture a basso costo, la recente crisi ha fatto sì che questo suo esportare abbia provocato due fenomeni sui mercati internazionali: 1) i paesi importatori, in forte crisi di liquidità, ritardano sempre più i pagamenti; 2) ha fatto guadagnare quote di mercato all’export cinese, facendogli occupare anche quote che in passato risultavano “protette” a spese dei contribuenti-consumatori (in pratica, la crisi ha comportato una concentrazione di fondi per sostenere il welfare e il sistema bancario e un loro conseguente allontanamento dalle politiche “incentivanti”. Meno aiuti di stato alle imprese, insomma).
L’effetto combinato di questi due fenomeni ha innescato una forte richiesta di liquidità da parte delle imprese cinesi che, chiamate a sostenere l’accresciuta richiesta di merci da loro prodotte, devono far fronte a grandiosi programmi d’investimento per soddisfare la domanda aggiuntiva.
In un sistema economico, quando si rende necessario ampliare la produzione, l’aumento degli investimenti comporta necessariamente un effetto al rialzo sull’inflazione. Inoltre, quando le esportazioni corrono troppo, si rivaluta enormemente la valuta utilizzata per fare gli acquisti (più aumenta il livello degli acquisti di manufatti cinesi, più bisogno c’è di valuta cinese per pagarli. E, poiché anche la moneta va soggetta al gioco della domanda-offerta, più una particolare moneta è richiesta, più aumenta il suo “prezzo” ovvero la sua valutazione).
Bene, le autorità cinesi hanno finora scongiurato entrambi i rischi: quello inflazionistico, innalzando, cautamente, il tasso ufficiale d’interesse della loro moneta e emettendo titoli di stato (allo scopo di drenare la liquidità in eccesso); quello di rivalutazione, mantenendo artificialmente basso il valore dello yuan rispetto al dollaro.
In queste giorni, invece, il tasso interbancario è stato innalzato fino al 7% (l’Euribor, il tasso interbancario europeo, è intorno all’1%!) e sono stati concessi, per la prima volta, fondi alle banche in evidente affanno con la liquidità.
Cosa potrà comportare nel lungo periodo questa inversione di tendenza?
Ad oggi possiamo prevedere che potrebbe ripetersi qualcosa di molto simile alla bolla immobiliare americana che ha innescato l’ultima crisi. In quel caso, a scatenare la crisi fu l’insensata politica dei tassi bassi a favore di quanti accendevano mutui per acquistare case che non potevano permettersi; nel caso cinese, il troppo confidare sulla “solidità” del sistema di scambi di valute, potrebbe portare l’economia fondata sul dollaro a non poter più reggere l’impatto dell’export cinese e così produrre effetti devastanti anche per la Cina; che si ritroverebbe di colpo senza mercati esteri e con un mercato interno non solo “non abituato” a consumare, ma che rischierebbe di non potersi permettere l’acquisto di beni prodotti a costi “alti” (anche se possiamo considerali attualmente “bassi” per le economie diverse da quella cinese).
Insomma, ve n’è abbastanza su cui riflettere per gli economisti faciloni e “di sinistra” che predicano ancora il ricorso alle manovre monetarie come rimedio ai mali della crisi. Dovesse crollare anche la Cina, finora massima praticante di quelle manovre, sarà interessante scoprire se tali economisti se la sentiranno di dire, oltre al “Noi l’avevamo previsto”, “Avevamo anche la ricetta giusta”.
Mimmo Forleo
PS. Spero che dopo questo articolo, qualcuno non voglia sostenere che mi starei candidando a prossimo ministro dell’economia.