Vendita dei prodotti agricoli in forma scritta – Alcuni approfondimenti
2 Novembre 2012
Faccio seguito al precedente comunicato che ho divulgato sui siti internet di Palagiano nei giorni scorsi, per approfondire alcuni aspetti.
Appena una legge entra in vigore, se non si chiariscono determinati tratti, è difficile assumere comportamenti giuridicamente corretti, soprattutto in casi non contemplati esplicitamente da quella legge.
E la legge, come ho avuto modo di scrivere altre volte, non è una scienza esatta come la matematica, ma è soggetta ad interpretazioni da parte degli uomini che, come tali, possono, spesso e volentieri, sbagliare o interpretarla in modo differente l’uno dall’altro.
A proposito dell’obbligo di stipulare il contratto in forma scritta per la consueta “vendita in blocco” dei prodotti ortofrutticoli, proprio per la discrezionalità di interpretazione della norma, ci potranno essere pareri divergenti.
Stimolato da quanti sostengono che le prescrizioni di cui all’art. 62 del D.L. n. 1 del 24.01.2012, anche per il tramite del Decreto Ministeriale attuativo, non attengono alle “vendite in blocco” o comunque a quei rapporti commerciali che non abbiano una continuità, devo necessariamente rilevare quanto segue.
Il sopraccitato art. 62 al comma 1 prevede che “i contratti che hanno ad oggetto la cessione dei prodotti agricoli e alimentari, ad eccezione di quelli conclusi con il consumatore finale, sono stipulati obbligatoriamente in forma scritta…”.
Come ho già sostenuto nel precedente comunicato, l’art. 1 del successivo D.M. attuativo del 19 ottobre scorso, al comma 2 spiega che, ai fini della detta norma, non costituiscono cessioni di prodotti agricoli e alimentari i conferimenti di prodotti da parte degli imprenditori agricoli alle cooperative e/o alle organizzazioni di produttori se i detti imprenditori risultino soci delle stesse.
Il medesimo articolo al comma 3 stabilisce che “le cessioni di prodotti agricoli e alimentari istantanee, con contestuale consegna e pagamento del prezzo pattuito, non rientrano nel campo di applicazione di cui al comma 1 e comma 3 dell’art. 62 del D.L. 24.01.2012 n. 1…”.
Probabilmente chi è del parere che la “vendita in blocco” non debba osservare quanto prescritto dalla legge di cui trattasi, fonda la sua teoria su questo 3° comma dell’art. 1 del D.M. attuativo, dimenticando, tuttavia, taluni aspetti di quel tipo di contratto e taluni cardini fondamentali dell’ordinamento civilistico in materia.
Innanzitutto nella “vendita in blocco” la consegna del prodotto non avviene contestualmente al perfezionamento del contratto, sia pure (finora) verbale, ma in momento successivo.
L’art. 821 del Codice Civile, inoltre, al comma 1 recita che “i frutti naturali appartengono al proprietario della cosa che li produce, salvo che la proprietà sia attribuita ad altri. In quest’ultimo caso la proprietà si acquista con la separazione”.
Sebbene nella “vendita in blocco” il pagamento, o parte di esso, avvenga contestualmente alla conclusione dell’affare, giuridicamente, dunque, l’acquirente diventa proprietario del frutto soltanto nel momento in cui viene separato dalla pianta che l’ha prodotto ed entra nella sfera di possesso della parte acquirente.
In base a tali principi, a mio modesto parere, risulta difficile, se non impossibile, far rientrare la “vendita in blocco” nella fattispecie di cui al comma 3 dell’art. 1 del Decreto Ministeriale.
A tutto questo si aggiunga che ormai è diventato molto ricorrente nella prassi che, in caso di “vendita in blocco”, il pagamento avvenga in maniera dilazionata e non sia “contestuale” (o se si preferisce sia parzialmente contestuale) alla conclusione del contratto.
Alla luce di quanto innanzi, secondo la mia opinione, che potrà essere condivisa o meno, il contratto di “vendita in blocco” si deve far rientrare nel raggio d’azione dei commi 1 e 3 dell’art. 62 del D.L. n. 1 del 24.01.2012. All’uopo deve essere obbligatoriamente stipulato per iscritto e devono essere rispettatati, dall’acquirente, i termini temporali di pagamento di cui al comma 3.
Ritenendo comunque il dialogo e il dibattito, oltre che costruttivi, fondamentali per addivenire ad una interpretazione univoca della norma – non solo per la parte riguardante la “vendita in blocco” – confermo la mia disponibilità e il mio impegno a promuovere un incontro pubblico aperto a quanti, sensibili alla tematica, volessero parteciparvi.
Francesco Carucci
Sono d’accordo anche io. Deve essere stipulato un regolare contratto per evitare le solite fregature che si hanno dopo la vendita. Troppo spesso l’acquirente sparisce o fallisce e rimane solo la parola data con gravi danni per l’imprenditore agricolo che ha investito un anno di tempo e di soldi per trovarsi senza frutti e senza soldi. Ad ogni modo la legge non obbliga la tracciabilità dei prodotti alimentari? Se non c’è un contratto scritto per l’acquisto in blocco, come si possono tracciare quei prodotti una volta arrivati sul mercato? Bisogna creare delle leggi snelle e a favore degli agricoltori per impedire i furbi di approfittarne e dare garanzia di un prodotto di qualità.